La Cartolina dal Salento di Cristina Carlà





Sono nata in un posto
in cui l’uva matura
in mezzo alle conchiglie
e il viso dei bambini
ha la forma esatta dello spazio
verde di una foglia.

Torre Inserraglio, Marina di Nardò



La salentina Cristina Carlà, laureata in Traduzione e Interpretazione, ha vissuto per un periodo in Francia. Poi, a un certo punto, ha deciso di tornare nella sua terra natia. Collabora, fra le altre cose, con Colori Vivaci, magazine culturale e di eventi; fa parte inoltre del collettivo Slammals, con cui lavora alla diffusione della poesia orale su tutto il territorio pugliese. La scrittura di Cristina Carlà è vivace, briosa, di forte impatto, di deciso impegno civile. La sua scrittura, fin dal primo sgorgare, non lascia indifferenti. La penna di Cristina è guidata da una forte tensione morale, da una passione viscerale, da una profonda e rispettosa cultura ambientalistica e umanitaria. Lei riesce con l’arma prorompente dell’ironia a creare un distacco ragionato dalla realtà effettuale, a volte fin troppo rovente, tragica, amara. Qualche mese fa, nel giugno 2022, ha pubblicato per Collettiva edizioni indipendenti il libro “Cartolina dal Salento”.

Collettiva è un progetto editoriale, aperto ai cittadini, guidato essenzialmente da un gruppo di amiche. Un gruppo molto vivo sul territorio, attento alla promozione culturale e sociale e ad iniziative divulgative, a un fare cittadinanza coinvolgente.



“Cartolina dal Salento” è uno scritto esemplare, che ha la pazienza della prosa e l’immediatezza fotografica e folgorante della poesia. È poesia civile (e non solo) meditata, elegante, con un procedere a tratti prosastico. In apertura, Cristina Carlà riporta le seguenti parole ineccepibili di Rina Durante: “Nell’atmosfera sonnolenta di una provincia stregata dal suo passato, una provincia che non aveva nulla da mostrare oltre ai muretti a secco, le pagghiare, le Centopietre, i bastioni otrantini sforacchiati dalle palle turche, con la scrittura abbiamo conquistato la capacità di turbare l’universo per mezzo delle parole”. Questa è la terra di Bodini, di Pagano, di Verri, di Toma, di Ruggeri, di D’Andrea, e di altri. È terra di pensamenti. E la parola è il medium sovrano che consente di modulare la realtà, di trasformarla. E Cristina Carlà mediante lo strumento propositivo della parola manda cartoline poetiche, che alluzzano i lettori, invitandoli alla riflessione. Non sono cartoline frivole, di semplice saluto o messaggini ameni. Sono cartoline che hanno il rosso dell’amore per la vita, hanno la spigolosità della denuncia, il fervore furente dell’invettiva, il sollievo dell’ironia. Sono cartoline che portano con sé le radici marroni di questa terra di confine, che sanno innalzare inni di bellezza, che sanno far vibrare colpi fendenti di scimitarra contro le varie storture. Sono anche cartoline d’amore sentimentale e, talvolta, sensuale, in cui traspare un erotismo maturo e avvincente. L’autrice ricorre anche al dialetto salentino (solo in rari casi, però). In fondo Cristina, nonostante abbia viaggiato e studiato fuori, è fortemente legata alla Terra madre: “Si sente l’accento, /l’odore della parmigiana che porto/ al mare nei tegami. Parmigiana/di melanzane paesane, ovviamente, / che io stesso ho piantato in campagna/e non mi vergogno di dirlo, no, che sono paesana/”. La terra di Cristina non è, però, una madre benigna: è un luogo svagato, stranito a volte, sventato. È una terra che ha conosciuto i mostri antropici, le mani velenose di Cerano, dell’Ilva. E la poetessa sente l’odore acre del veleno, lo sciame delle grandi navi. Ciononostante, la ama intensamente questa madre tradita, svenduta. Nonostante sia anche terra dei fuochi, l’occhio poetico la sa scorgere rossa, blu, verde, gialla di prati infiniti.

D’immensa grazia. Cristina può vergare frasi impegnative del tipo: “Beata me che me ne posso andare e non me ne vado”. “Cartolina dal Salento” è un viaggio itinerante. La voce della poetessa giunge a noi da Torre Inserraglio, dalla Marina di Corsano, da Uggiano la Chiesa, dal Parco Archeologico di Egnazia, dal Centro storico di Lecce, da San Foca, da Botrugno, da Baia delle Orte, dall’Abbazia di San Mauro, dal Parco Archeologico Naturale di Torcito, da San Vito dei Normanni, da Monteroni di Lecce, da Brindisi, da Marina di Marittima, da Torre Pali. Stefania Zecca, nella prefazione, afferma: “Le Cartoline qui descritte non impacchettano un prodotto commerciale per il turista, per l’ospite buono; qui si alza il tappeto e si mostra la polvere. È l’urlo della verità e di chi questa terra la conosce e la abita nelle sue viscere. La possibilità di andar via e scegliere, nonostante tutto, di restare”. Cristina Carlà non fa sconti ad alcuno. Il suo urlo si leva contro un’Italia che esporta plastica in tutto il mondo, contro un’Italia di benpensanti che fanno la guerra ai vucumprà, il paese delle raccomandazioni, delle strade piene di buche tranne in tempi di elezioni, dell’immondizia nei canali, delle formiche negli ospedali, delle spiagge risucchiate dai lidi privati e di montagne di mazzette. Il canto poetico e civile di Cristina diventa anche politico: “Noi italiani immemori, /italiani smemorati, votiamo signori/che qualche anno fa cantavano/ beati: senti che puzza, scappano anche i cani/stanno arrivando i napoletani/”. Noi italiani siamo fatti così: ci lamentiamo perché dal mare vengono a rubarci il lavoro, ma nei campi rossi di pomodoro non ci vuole andare nessuno degli autoctoni a sporcarsi le mani, a spaccarsi la schiena. “Cartolina dal Salento” è un libro documento, che mostra nuda una terra e le sue radici. Un libro d’amore, di ferite, di gioia, di dolore. Di vera poesia.



Nell’opera di Cristina c’è una bella nota di Gianluca Palma, custode sociale della “Scatola di Latta”. Lui ricorda d’aver conosciuto Cristina, errando per il Salento, una decina d’anni fa, in una delle spettinate iniziative della “Scatola di Latta”, nata per prendersi cura della conoscenza, per coltivare le relazioni e praticare la restanza. Gianluca Palma sostiene: “Leggere Cristina richiede silenzio. Silenzio perché la sua è scrittura civica e sensibile, umana ed etica. Ti fa conoscere il mondo ed amarlo, nonostante tutto”. Aggiungerei che la scrittura di Cristina sa anche praticare un sentito e pulito lirismo, che s’avverte nei viaggi sfibrati delle nuvole di maggio, nella curiosità dei capperi, nella schiettezza del gelsomino, nelle traiettorie furibonde delle rondini, nella luce diamantina sopra le facce dei santi, nei giardini prepotenti che spuntano dagli angoli delle finestre insieme agli occhi gialli dei gatti nascosti nelle fioriere, nel canto sommesso dei passeri nati nei vasi di pietra, nei pini verdi che ancora stanno in dialogo col vento nero di terra bruciata. L’amore d’elezione della poetessa è quasi francescano. Lei ama il piccolo, il minuscolo, l’insignificante, agogna stupirsi della nascita d’un antico seme. Ha un desiderio, del resto pienamente condivisibile, Cristina Carlà: quello di non guarire mai dal mal di poesia. Lei sa che la poesia è alito, palpito, scuotimento, trasalimento, respiro. È la notte cupa. È l’aurora che inevitabilmente ritorna. Per nostro incantamento.



Voglio rimanere per sempre così
ogni mattina il cuore vuoto quanto basta
per stupirmi dell’insignificante.
Riconoscere il miracolo,
guardare a testa bassa
la nascita, la perfetta evoluzione
di un antico seme: esercitare gli occhi,
infilare le mani fin dove si può andare
cercando di restare in equilibrio
su ciò che non va spezzato.

Marcello Buttazzo