Personaggi/ Aldo Giuffrè, il Salento e Antonio L. Verri
Quando, nell’ospedale san Filippo Neri di Roma, il 26 giugno 2010, Aldo Giuffrè (Napoli, 10 aprile 1924) spiccò il volo terminale della sua vita, non me la sentii di dire neanche una parola. Era troppo forte il dispiacere per la scomparsa di questo grande amico del Salento, che aveva amato questa terra come la sua Napoli, e che qui aveva trovato il modo di ritemprare il corpo e la mente, grazie alle cure della moglie leccese, con la quale aveva vissuto insieme (28 anni) giorni bellissimi della seconda parte della sua intensa vita di attore e di scrittore.
Un comico dell'Arte
Maurizio Nocera
Aldo Giuffrè amava il Salento, anche grazie al buon Antonio L. Verri che, con l’amico Giovanni Pranzo Zaccaria, aveva saputo proporre all’attore napoletano un magico orizzonte di questa terra favolosa. Si erano conosciuti di persona, come sempre a cena (luogo – Mocambo a Sternatia – e tempo preferito dall’Antonio, ma un po’ anche dallo stesso Aldo). Si scrivevano di tanto in tanto delle lettere poi, come ogni estate, quando Giuffrè ritornava a Lecce, il rituale incontro e lo scambio dei doni che, come sempre, consistevano in libri, giornali, fanzine, pieghevoli, voli, cene, altro ancora.
La sua voce per l'Italia liberata
Aldo aveva 86 anni (compiuti il 10 aprile 2010) e nella sua vita di attore aveva interpretato vari personaggi, prima nella compagnia del suo unico maestro Eduardo De Filippo (da lui ritenuto quasi un secondo padre), col quale aveva debuttato nel 1942 in “Napoli milionaria”, successivamente in “Filumena Marturano”, e poi anche in “Questi fantasmi”.
È noto che il 25 aprile 1945 fu lui ad annunciare dai microfoni della Rai di via Asiago a Roma la fine della seconda guerra mondiale e la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. La radio fu per lui sempre una grande passione e non pochi furono i radioprogrammi che interpretò, fra cui vanno indubbiamente citati “La fidanzata del bersagliere”, “Il compleanno di Pinter”, “Il malato immaginario” di Molièrè. Importante la sua presenza anche in televisione [si ricordi “La figlia del capitano” (1965), “Le avventure di Laura Storm” e, come conduttore, il varietà “Senza rete” del 1973]; occorre ricordare pure alcune commedie interpretate assieme al fratello Carlo, soprattutto dopo il 1972, anno in cui insieme diedero vita alla compagnia “Il duo Giuffrè”, che in 15 anni crearono un repertorio del tutto rispetto con titoli come “Pascariello surdato”, “Francesca da Rimini”, “A che servono questi quattrini”, “La Fortuna con la F maiuscola”.
Come i comici dell'Arte
La morte ha colto Aldo Giuffrè in un momento in cui pensava ancora al lavoro che, ultimamente, consisteva nello scrivere romanzi, per di più di buona fattura.
Il fratello Carlo, dando l’annuncio alla stampa della morte, ha affermato: «Siamo stati come i comici dell’Arte, affiatati tra noi, capaci di dividere e affrontare con vitalità la buona e la cattiva sorte, soprattutto pronti a improvvisare in scena, a recitare a soggetto, a diventare autori per […] disperazione […]. Andavamo a leggere le commedie nelle case degli amici. [… Ho] perso più di un fratello, una parte di me e del vero teatro napoletano e italiano» (v. «Corriere della sera», 28 giugno 2010, p. 31).
Il “sosia” di Scarpetta...
Un altro suo amico sincero, Gigi Proietti, ha affermato: «Era un uomo pieno di allegria, sapeva essere leggero e anche elegante. Sempre spiritoso, napoletano nel modo migliore. A Napoli, dove si producevano molti sceneggiati, molto teatro in studio, siamo stati insieme giorni e giorni. Ricordo quanta compagnia ci siamo fatta. Lui mi raccontava la sua città, quella dell’infanzia, quella della giovinezza. Mi descriveva il modo di vivere, gli usi delle famiglie, i cibi, le ricorrenze. Mi accompagnava a vedere i posti, notando i cambiamenti, apprezzando i sapori di casa propria con inesauribile amore per Partenope e per la gente che la abita./ In particolare, di Aldo, al di là della bravura professionale e della vera dedizione al mestiere, ricordo la capacità di descrivere i “tipi” della Napoli che aveva conservato nel cuore. Un esempio? Andavamo in una trattoria dove l’oste somigliava a Scarpetta. Lui lo faceva rivivere, il grande attore padre dei De Filippo, spiando le mosse di quel sosia, sottolineandole, riproducendole a mio uso e consumo. Uno spasso. E anche un modo di tornare indietro nel tempo con una nostalgia positiva, incapace di deprimere il presente pur rimpiangendo certo passato di smalto e giovinezza./ Una brava persona, Aldo. Putroppo ci ha salutati per sempre. Un vero dispiacere» (v. «Il Messaggero», 28 giugno 2010, p. 19). Da parte sua Luca De Filippo, figlio di Eduardo, ha scritto: «Con lui se ne va un altro pezzo fondamentale di quella generazione di uomini di teatro, che ancora oggi restano il riferimento costante per noi che facciamo teatro» (v. Ansa, 28 giugno 2010).
Le “virtù” dell'umiltà
E Ida Di Benedetto, sua partner in “Rosa Funzecà”, ha affermato: «Aldo Giuffrè era straordinario. Era una di quelle rare persone nel nostro mondo in cui la grandezza dell'attore coincideva con la grandezza dell'uomo. Era dotato di quell'umiltà che ha solo chi è davvero grande e di quell'ironia di cui è capace solo chi è molto intelligente. […] Era rimasto grandissimo anche se non aveva più la sua voce straordinaria e per questo era stato un po' messo da parte. Mi ricordo una grande allegria sul set di “Rosa Funzecà”. Aldo era talmente felice che lo avessimo chiamato per recitare il ruolo dell'usuraio. La verità è che quando c'era lui, in teatro come al cinema, era sempre un gran divertimento: raccontava barzellette, faceva apprezzamenti sulla bellezza femminile, aveva un modo di raccontare aneddoti così ironico che stavamo ore a sentirlo. […] Una delle prime cose che ho fatto in teatro l'ho fatta con lui, era “Il giorno di San Michele” di Elvio Porta. Poi abbiamo fatto insieme anche altre commedie. Le tournèe con lui erano sempre un divertimento. Aldo era un essere umano ed una personalità artistica di altissimo livello. Ci mancherà moltissimo» (v. Adnkronos, 27 giugno 2010).
Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, napoletano come Aldo Giuffrè, nel telegramma alla moglie Elena, ha scritto: «[…] figura di rilievo della scuola teatrale napoletana e personalità di particolare simpatia e grande correttezza nella vita pubblica e privata» (v. «Corriere della Sera», 28 giugno 2010, p. 31).
Per il Salento e per Antonio L. Verri
Ma qui, quello che a noi salentini interessa, è quanto ebbe a dire la moglie, la leccese Elena Pranzo Zaccaria, nel momento della perdita del marito: «[Aldo] amava il Salento. Sentiva il fascino di questa terra che è unico [… come] la sua passione era [pure] la musica. Quando sentiva un’orchestra accordare gli strumenti, Aldo si commuoveva. […]. Suo padre era stato un grande contrabbassista. Era scomparso troppo presto. E lui l’aveva cercato per tutta la vita, anche in quel suono. […] In casa, fino all’ultimo, io ero Antigone ma lui sdrammatizzava tutto. È sempre stato fondamentalmente uno scugnizzo» (v. Anita Preti, “Aldo Giuffrè / Attore italiano”, in «Quotidiano di Lecce», 28 giugno 2010, p. 27).
Scrive la moglie che Aldo Giuffrè amava il Salento. Noi ne abbiamo le prove, quelle che traiamo dalla lettura di una bella lettera che l’attore inviò al presidente della Provincia di Lecce in occasione della richiesta dell’indicazione di una personalità salentina da premiare. Eccola: «al Presidente della Provincia di Lecce// dott. Lorenzo Ria// In risposta alla Sua del 3 gennaio (2000) non nascondo che sulle prime ero convinto di non poterla accontentare nel segnalarla un nome degno di essere inserito nella rosa della prossima edizione del "Premio Salento". Ma poi l'occhio mi è caduto su un volume di “On Board” numero zero del 1990 - che conservo fra i ricordi più preziosi e cari - e nel mio ricordo è esploso il nome di Antonio Verri. L'ho conosciuto e subito ammirato totalmente. Non si esibiva, non ostentava il suo indiscutibile valore, quasi si nascondeva. Ma più si ritraeva e più mi dava modo di conoscerlo perché era proprio quella ritrosia che lo svelava./ Ho collaborato con lui una sola volta con un modestissimo scritto per quel giornale – “On board” appunto - che era una specie di "legione straniera": ricco di firme illustri ma anche di personaggi pressoché sconosciuti, ugualmente dotati di uno straordinario, personalissimo, bagaglio culturale.// Antonio Verri di Caprarica./ Di aristocratica origine contadina./ Poeta. Apostolo e dispensatore di quella cultura che migliora la vita./ Amico, fratello di Umberto Eco e di George Astalos, ma anche di tipi originali, eccentrici, fuori della norma, come Edoardo De Candia./ Ha tentato, con bel successo, di esportare la ricchezza oggettiva del Salento./ In un'epoca in cui la comunicazione del pensiero veniva affidata alle lettere, Antonio Verri ha intrattenuto fitta corrispondenza con personaggi della cultura di varie parti d'Europa. E molti di questi hanno conosciuto il Salento, hanno apprezzato il Salento, hanno amato il Salento (come Astalos per esempio) grazie al fervore con cui Antonio Verri gliel'ha raccontato./ Forse con la segnalazione del nome di Antonio Verri arrivo buon ultimo, perché suppongo che a molti di voi, a cominciare da Lei, sarà emersa alla mente la figura fulgidissima di questo straordinario figlio della terra salentina, che ha fatto in tempo a farcela amare con le sue luci e le sue ombre.// Cordiali saluti// Aldo Giuffrè// 28 febbraio 2000» (v. retrocopertina di Antonio L Verri, «On Noard», Cavallino, 2004).
In morte di Antonio
E prima ancora del 2000, Aldo Giuffrè, di Antonio L. Verri, in occasione della sua tragica morte sulla Cavallino-Caprarica di Lecce aveva scritto ad un amico la seguente lettera: «C’è, nella Puglia meridionale, una striscia di terra ricca di doviziosa storia e di rossi tramonti. È il Salento./ E c’è Antonio Verri che del Salento è l’elegiaco aedo./ Vivo, presente, appassionato, fibrillante, con l’abnegazione di sempre, continua a trasmettere il suo anelito. Fervido e meticoloso cronista e religioso missionario di questo lembo di terra – che è magia è luce è imponenza è fantasia è magnificenza è preistoria che incanta – Antonio continua a prodigarsi nel dividere con gli altri il suo prezioso bagaglio di conoscenza, a trasmettere agli altri questo universo affinché ne diventino figli e amanti./ In tanti, da tante parti, lo seguono sempre affascinati, sedotti e grati per il preziosissimo arricchimento. E tutti vogliono incontrarlo ancora per sentire ancora i benefici effetti della grande lezione./ E quindi ci corre l’obbligo – morale oltre che sentimentale umano sociale culturale – di tenere sempre accesa la sua fiamma per tener desta la memoria della sua gigantesca figura e tramandarla alle nuove generazioni, anche con la speranza di scovare, di individuare qualche suo potenziale discepolo e inculcargli quell’amore, quella fede, quella liberalità.// Aldo Giuffrè// maggio 1993».
I romanzi di Giuffrè
Improvvisamente, nel 2003, ma la storia sappiamo che covava in lui da tempo, Aldo Giuffrè si fece scrittore, pubblicando quasi contemporaneamente due romanzi: il primo, nel febbraio, con la EditriceErmes, “In viaggio con Amore” (con la prefazione di Domenico Rea ed un lusinghiero giudizio di Dacia Maraini); il secondo, nel settembre dello stesso anno, con la Guida editore, “Amici come prima”. Anch’io li lessi entrambi e ne feci due brevi recensioni, all’ultima delle quali, Aldo ritenne opportuno inviarmi una lettera (Roma, 5.02.2004), nella quale mi annunciava l’idea di un nuovo romanzo: «Da qualche giorno ho messo mano al terzo romanzo. Storia di un viaggio lungo, faticoso, disagiato, drammatico… Un camion scassatissimo, ai tempi della Repubblica di Salò, trasporta una scalcinata compagnia di guitti dell’Italia del Nord-Est all’Italia del Sud. Il titolo (“I Coviello, protagonisti in provincia”) dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) contenere la tematica, cara a Pirandello, secondo cui la “provincia” non si riferisce a una posizione geografica ma a una “forma mentis”». Il romanzo come si sa vide la luce nel 2007, sempre edito da Guida di Napoli. Infine, sempre con lo stesso editore Guida, nel 2009, diede alle stampe il suo ultimo romanzo, “La meravigliosa storia di Antonio Maraviglia”, nel quale Giuffrè affonda il bisturi della memoria nell’inestricabile labirinto che è la vita.
La poesia... dagli uno sguardo
Una vita, quella di Aldo Giuffrè, piena di non poche cose, tutte degne di essere vissute: attore di teatro e di cinema, doppiatore, scrittore, e infine anche poeta. Nel 2005, in un incontro salentino per me indimenticabile, stavamo percorrendo le assolate strade del Salento, quando mi passò nelle mani un foglio dattiloscritto dicendomi «dagli uno sguardo». Era una sua poesia, questa: «La pace// La pace in un mondo devastato dall’odio./ La pace in un campo dove cresce solo gramigna./ In un cielo attraversato da avvoltoi./ In un mare infuriato di tempesta./ Uno sparuto gruppo di gente si muove e va a cercare la pace./ Ma dove?/ Nelle pozzanghere?/ In un terreno riarso, cosparso di bossoli?/ In una piccola bara bianca?/ Nel groviglio babelico di religiosi che sparano anziché pregare?/ Nei cuori induriti dei lutti?/ Nella lama d’un coltello?/ In un dito che s’accinge a tirare il grilletto?/ Dove andiamo a cercare la pace?/ In un striscione sbiadito su cui la parola “pace” si legge a stento,/ tanto è stata calpestata da un manipolo di forsennati che inneggiavano alla/ pace in ottusa obbedienza alle direttive di un partito politico?/ Marciamo verso la pace./ Marciamo verso la vita./ Non allontaniamoci, però, dai luoghi dove si semina la morte./ Perché è lì che dobbiamo parlare di pace. È lì che dobbiamo santificare la vita./ Siamo, l’abbiamo detto, uno sparuto gruppo di gente./ Siamo pochi. Siamo la minoranza./ Ma non siamo ancora indeboliti nella ferma volontà di andare a stanare la pace./ E forse non dobbiamo andare lontano./ La pace – se c’è – è dentro di noi./ E dunque è da qui che dobbiamo partire.// Aldo Giuffrè (22 gennaio 2005)».
Con la scomparsa di Aldo Giuffrè, il Salento ha perso un amico e sicuramente un suo grande estimatore.