Le "canzoni mai cantate" di Cosimo Russo


Mi sono fatto
una coltre
con questo silenzio
immoto
che domina le pareti.
Non ho più
colori che siano
per la Luna
un giorno.

M’hanno detto
è un oceano
l’illusione,
e sta in piedi
sugli alberi
e ha foglie.

Cosimo Russo nasce a Gagliano del Capo il 26 giugno del 1972, in una terra di luce, di ulivi contorti, di contrade bianche di tufo e di calce. La mamma di Cosimo, Luigina Paradiso, è responsabile della biblioteca del paese. E quì il ragazzino Cosimo s’imbibisce di letture poetiche e narrative e già predefinisce il suo mestiere di vivere. 
Da giovanissimo, legge a fondo Neruda, Lorca, i Maledetti francesi, Ungaretti, e tanti altri autori. In certi versi che Cosimo ci ha lasciato come dono balena la scrittura fotografica e musicale di Lorca, l’incedere pulito e assolutamente ritmico del grande poeta spagnolo. 
Qualche anno fa, diversi versi di Cosimo Russo vennero pubblicati in due successive raccolte per i tipi di Manni Editori. In questi anni, mamma Luigina Paradiso ha lavorato instancabilmente per ordinare tutti i fogli vergati dal figlio. L’autore salentino ha redatto centinaia e centinaia di poesie, rimaste inedite. La sua improvvisa e prematura dipartita il 19 febbraio 2017 a causa di un’embolia polmonare ha creato sacche di infinito dolore nei suoi cari e nelle persone amate. 
Nell’ultima parte della sua vita il poeta, che non aveva mai voluto in precedenza pubblicare i suoi componimenti, stava lavorando alacremente alla selezione dei suoi testi e aveva espresso ai suoi parenti la volontà di farli confluire in una silloge poetica. Uscirono così, dopo la sua scomparsa, “Per poco tempo” (Manni, 2017) e “Ancora una volta” (Manni, 2019).

In questi ultimi anni, sugli altri inediti hanno lavorato la giovane e brillante filologa Annalucia Cudazzo e l’editore Luciano Pagano. Il 26 giugno 2022, è uscito, per Musicaos Editore, “Su canzoni mai cantate” - poesie scelte (1994-2017)- di Cosimo Russo, a cura di Annalucia Cudazzo, con interventi di Massimo Bray, Annalucia Cudazzo, Michela Biasco.
Un’opera essenziale per comprendere la poetica di Russo, per entrare a scavare nelle scaturigini d’un uomo innamorato della vita e della maestra poesia.
Massimo Bray sottolinea come Cosimo Russo si sia creato un proprio “itinerario poetico”. L’influenza di Bodini, di Pagano, soprattutto di Girolamo Comi, è presente nelle pagine di Russo, ma la sua cifra poetica inerente è originale. Da piccolino, Cosimo frequentava la biblioteca di Palazzo Comi, e un certo spirito d’armonia, d’una Natura accogliente, d’una ebbrezza panica, si può respirare nelle sue poesie. Cosimo non solo è un poeta, ma è anche un filosofo, che medita di continuo sulle sorti dell’esistente, sulla finitudine, sul senso d’infinito. La sua paziente ricerca spirituale è senza fine, pur rifuggendo il poeta da concezioni dogmatiche e stereotipate. Nei suo versi scintilla sapienza fisica, come quando sostiene che non siamo nessuno fuori dallo spazio euclideo, da questo tempo, da questa legge della casualità.

“La malattia di cui soffriamo è l’infinito”, ritiene il poeta. Agogniamo spazi aperti, luoghi sterminati, praterie d’amore. Non sempre riusciamo a raggiungerle. La studiosa Michela Biasco, nel suo intervento, afferma: “Una forte tensione morale e conoscitiva accompagna l’esperienza di vita del poeta e si riflette nei suoi scritti, testimonianza di una coscienza protesa all’ascolto di sé, degli altri e della vita”.
Cosimo Russo è un poeta del quotidiano, delle piccole cose che hanno sapore d’infinito, del lucore diffuso che a FinibusTerrae ha un brillio magico. 
È il poeta delle radici rosse di terra madre, dell’amicizia, della sacra reminiscenza. 

“Su canzoni mai cantate” è un’opera da leggere per apprezzare i versi d’un poeta di questa terra, che troppo presto s’è congedato dall’esistenza terrena. Ma Bodini, Toma, Verri, Ruggeri, Pagano, Durante, D’Andrea, Saturnino Primavera, e altri ancora, non trapasseranno mai. E anche Cosimo Russo è più che mai vivente con questi suoi versi, dal 1994 al 2017. È palpitante d’amore, Cosimo, con questi suoi florilegi d’umana bellezza, che scaldano il cuore, titillano la ragione, e ci fanno scorgere l’insegnamento etico e superiore della parola.

La giovane filologa Annalucia Cudazzo, attualmente dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università di Messina, è un’appassionata e accorata esperta di poesia. Per Musicaos Editore aveva già curato l’edizione critica e commentata delle poesie di Claudia Ruggeri. Con la stessa sapienza e amore, Annalucia ha curato l’opera di Cosimo Russo, in sinergia con mamma Luigina e con l’editore Luciano Pagano. Lo scritto di Annalucia Cudazzo ci consente di penetrare morbidamente fra le pieghe della poetica di Cosimo. Mi colpisce, in specie, il passaggio in cui Cudazzo scrive, relativamente alla poetica e all’umanità di Russo, che “alla base di tutto, vi è un dialettico confronto tra tempo limitato ed eternità. Molto si gioca proprio su questo binomio: mortalità e immortalità”. Il poeta sa che la morte è sempre in agguato e, sovente, si accanisce sulle persone più tenacemente legate alla vita. Epperò, occorre dire che, scorrendo i versi di questo libro, ciò che viene esaltata, quasi laicamente santificata, è proprio l’esistenza. Quello splendore che evocano le case infuse di bianco nelle prime ore del giorno, la tenerezza che c’è in un fratello che continua a sbucciare il suo melograno. Poi il silenzio muto, l’aria assassina, la notte, la luna che fa il pane, l’ode al cane morente. E poi c’è la luna coi suoi raggi soffusi. La luna sempre compagna. Le lune elettriche che accendono la notte nel paese del poeta. Ci sono le poesie argentine, gli amori giovanili, le muse, gli uccelli addormentati sugli alberi, che hanno una canzone per piuma.

Cosimo Russo è un poeta degli eventi e delle forze naturali, dell’alba bianca come il palmo della mano di una suora. Delle strade strette di campagna, del cielo deserto azzurro. La sua è poesia in divenire, che si incentra, tra l’altro, sugli affetti familiari. Russo canta la madre nella sua dolcezza (“la mia dolce mammina”), il fratello che batte come un cuore, il nonno, la nonna sugli assi robusti del telaio, la figlia Chiara che è alba stella primavera, la figlia Sofia e la sua innocenza dietro il banco delle elementari. Significativi sono i versi d’amore puramente sentimentale, pensati per le muse, con figurazioni intriganti, come il profumo dei capelli della donna, medicamento per lenire le ferite. A volte, campeggia un eros maturo e affascinante: “Vorrei l’ultima goccia/ della mia vita, / coricata sul tuo seno/”. Il paese natio fa capolino in molte poesie, l’orologio del campanile fermo da tempo. La strada e il tufo che si solleva al passaggio del mulo stanco. Il libro “Su canzoni mai cantate” è un canto di libertà. Cosimo Russo ci mostra la via, ritendo che la libertà di cui il poeta ha bisogno “è la libertà di amare”. Quella libertà che i moralisti convenzionali, trattando l’amore come un contratto, non vogliono concedere. Il libro “Su canzoni mai cantate” è un canto d’amore e di libertà, la libertà che è propria della poesia, l’amore che è stato il cimento di tutta l’esistenza terrena di Cosimo Russo.


Su canzoni mai cantate
muore la mia lingua
in note perdute su verdi
alberi
si nasconde il mio segreto.

Su gabbiani del mediterraneo
si muove leggero l’alito
delle onde.

(i rosai si sono bevuti
i silenzi della notte):

Su distese lattiginose divampa un’ansia
mentale.
Come granuli di seta gialla
dorme nel
petto il mondo.


Marcello Buttazzo