La "Carta poetica del Sud" di Simone Giorgino

di  Adele Errico*



“…e nulla c’è che mi distolga dal credere che ancora oggi la terra e gli uomini abbiano bisogno d’essere amati dal mio sguardo, suscitati nella terra, forti, vittoriosi nella splendida materia delle parole”.

Così scriveva Alfonso Gatto, ripensando alla sua prima poesia scritta a vent’anni, in una “stanza diroccata” con il mare di là dalla finestra. Dal rettangolo di mare che si agita tra i contorni di quella finestra, unico squarcio di mondo visibile al poeta, si spalanca un paesaggio che sembra esistere solo perché accolto nel suo sguardo, un paesaggio che prende colore solo se riflesso negli occhi di chi ne scrive. Il soggetto che osserva il paesaggio è poroso, attraversabile. Nel momento in cui lo osserva ne è attraversato e finisce non solo per trovarsi in quello spazio fisico, ma per essere quello spazio fisico che diviene spazio della sua interiorità, una sorta di “mindscape”, paesaggio della mente.

La copertina del libro edito da Musicaos


Nella poesia del Sud, geografia e letteratura si compenetrano e lo spazio geografico si fa “veicolo di interpretazione testuale”, la morfologia del territorio diventa forma di una sintassi che racconta un territorio interiore. Con “Carta poetica del Sud” (Musicaos, 2022), Simone Giorgino disegna la mappa di questo territorio, partendo dal legame inscindibile tra letteratura e geografia e dalla necessità di tracciare una carta del Sud che non sia solo geografica ma anche sentimentale. La scelta di Giorgino è guidata dallo stesso desiderio che infiammava Quasimodo, ovvero quello di fare una carta poetica del Sud e di salvare i poeti meridionali da un mare che “non è certo l’antico Mediterraneo” – come dichiarava Donato Valli - ma il mare di una tradizione letteraria che ha tenuto la loro testa sott’acqua e che sembra averli dimenticati. Giorgino traccia una cartografia individuata sulla base di esperienze poetiche che, nel corso del Novecento, hanno avuto luogo “in un’area geografica piuttosto estesa, che è quella cui convenzionalmente ci si riferisce quando si parla di Meridione”.

Il Meridione che questa cartografia vuole rappresentare è collocato “fra l’effimero e l’eterno” ed è tracciato dallo sguardo di chi fa poesia. Nello sguardo dei poeti, la percezione dello spazio è un trascolorare dell’anima nella natura circostante. Dunque, il sud dei poeti – quello di Scotellaro, Sinisgalli, Piccolo, Bodini, Cattafi, Ripellino, Quasimodo, Prete, Bene - è un modo di guardare. È spazio geografico nutrito delle immagini della mente poetica e la mente poetica, a sua volta, è “gremita dei luoghi natii”, in cui è tutto un alternarsi “di dolcezza e di furori”. 

È il Sud degli ulivi saraceni e della luna rossa, dei rami d’arancio e dei palazzi di tufo, delle danze contadine e delle chiese barocche. Ma l’altro volto del barocco è anche “forsennato e metamorfico”, scrive Giorgino, così vertiginoso che non è più architettura ma, secondo Giannone, “condizione dello spirito in cui si riflette un disperato senso di vuoto” da colmare con l’eccesso decorativo. L’altro volto del sud è quello in cui “spuntano ai pali ancora le teste dei briganti”, è il sud dei “gerani smorti dal gelo”, dei “polsi dei morti che ogni volta rispuntano dalle zolle”, del buio profondo (“il buio, com’è lungo nel Sud”). Nel solco tracciato dal delinearsi di questo doppio volto, un’irrazionale necessità di resilienza e attaccamento incondizionato al territorio si interseca a una crescente disillusione e a un’insofferenza che generano un desiderio di fuga. Ma chi tenta di andare via vive la lontananza con nostalgia e, talvolta, rimorso, perché quello che lega i poeti al loro Sud è un destino e non si sfugge a un destino. Dal Sud non si va via mai, al Sud è tutto un tornare. Solo che, per Sinisgalli, il Sud è buono solo per morirci (“Qui dovevo vivere/verrò a morire tra i ruscelli…”) perché quando scompare l’incanto e la vista non è più offuscata dall’affezione, si fa nitida, agli occhi del poeta, la vera natura di una terra arida e desolata. Eppure, il legame permane, indissolubile, anche nella lontananza. A spiegarne i motivi è Quasimodo - le cui riflessioni costituiscono, come afferma Giorgino, “le basi di una nuova consapevolezza poetica meridionale” – e lo fa con la luminosa chiarezza di un verso di Jacopo da Lentini: “Meravigliosamente/un amor mi distringe”. Quel legame, semplicemente, è un amore. E questo amore stringe in una morsa che, però, è dolce.

La passione che lega i poeti meridionali alla propria terra è una stretta che è segreta e palese al tempo stesso, il risultato di un Mezzogiorno geograficamente individuabile e segretamente nascosto tra le maglie di un’interiorità che diventa fruibile solo sotto forma di poesia. “Più nessuno mi porterà nel Sud” scriverà ancora Quasimodo in “Lamento per il Sud”.  Così, nell’immaginario poetico, il Sud si cristallizza in un dolore. Interiorizzato, assume le fattezze mitiche di un “paradiso perduto, stagione felice e irripetibile, paese dell’anima” e che sopravvive solo, come scriveva Gatto, “nella materia delle parole”.

 

*"Nuovo Quotidiano di Puglia", 12 giugno 2022