Saturnino Primavera


Il poeta Saturnino Primavera, nato a Lequile, nel Salento, nel 1930 e qui scomparso nel 2004, è autore di tre raccolte di versi, pubblicate dalla Tipografia Mele. Saturnino ha traversato anni accesi di passioni politiche, di vita civile bordeggiata per le strade, nelle piazze. A sentire il respiro della gente. Saturnino era un comunista convinto e coerente. Con alcuni cari amici di Lequile, fondò - negli anni Settanta - un piccolo teatro sperimentale.
Venne chiamato a Roma da Pier Paolo Pasolini, che gli affidò una piccolissima particina nel suo “Il fiore delle Mille e una notte”.

Saturnino, poeta della vita e della morte, del mare che schiaffeggia le rocce. Poeta del vento, della terra natia, degli ulivi contorti e assolati, dei contadini alacri. Poeta della notte, della luna, delle stelle. Poeta del silenzio, delle foglie d’autunno, dei ricordi come canto antico. Poeta dell’amore, del dolore, delle voci di donna.

Quando morirò

seppellitemi nella terra di nessuno.
Seppellitemi al crepuscolo,

dove tramonta il sole

perché io possa vederlo in eterno.

Quando morirò seppellite

con me le mie poche cose
che non ho mai avuto; 

seppellite con me

il mio passato, i miei ricordi.
 

Seppellitemi lontano,

nella terra di nessuno,
perché nessuno pianga sul mio corpo.

Conserverò un palpito segreto,

perché lo odano
tutti coloro
che resteranno in vita.

“Poeta dai chiari versi, non morire ogni notte, se gli occhi suoi ti guardano per un momento e da te fuggiranno per sempre, come foglie d’autunno”. Saturnino è stato ed è un poeta adamantino, di assoluta e illesa purezza. Poeta delle pietre amare, delle mura corrose e invecchiate di tristezza, pallide e acerbe, delle rondini paesane. Poeta del presente e del passato, della stagione stremata, ridente e melanconica, dell’infinito, della reminiscenza che ravviva l’anima. La sua è, per l’innanzi, poesia lirica, che esalta nell’incedere del verso una ritmica musicalità. Non a caso, l’autodidatta Saturnino era avido lettore di Federico Garcia Lorca e di Pablo Neruda. Lui ha conosciuto, nella sua esistenza, gioia e dolore. Ha avuto consapevolezza delle lacrime. E le ha sapute consolare. Saturnino è stato ed è un grande poeta. Perché un cantore del bello, della Natura, della effervescente ebbrezza del tempo, non muore mai.

La sua stagione creativa d’ispirazione s’è concretizzata, soprattutto, negli anni che vanno dal 1965 al 1967, quando sono state pubblicate le raccolte ”Lequile poesie”, “Parole e morte e questo sangue imprigionato” e “Il tempo e la morte”. Eppoi, è continuata per tutto il corso della sua esistenza. Un poeta nel suo “mestiere di vivere” sa essere se stesso nel suo intimo, nella sua identità, nella sua essenza inerente. E Saturnino era poeta non solo per i suoi versi, ma anche per la sua postura di delicato e raffinato ebanista e falegname, per il suo impegno morale e civile.

Dal padre Vito aveva ereditato l’amore per la poesia e la cristallina visione morale e politica. L’amore sconfinato per la civiltà contadina.

La nostra è una storia contadina, che reca nelle scaturigini un’antropologia pulsante. I nostri contadini chini sui campi di nere zolle assolate. I campi bruciati dal sole generoso non temono intemperie, i vecchi visi corrugati da millenni di usato lavoro nascondono le giovani emozioni. Campi di giallo pallido orzo insultato da residue gramigne, distese e distese di rosse angurie, vita china spesa dal popolo migrante. Acque che zampillano altrove, ad inondare radenti erbe d’intorno. E poi colori, i nostri contadini, viva memoria dei nonni, delle madri, dei padri. E in duplice filar alti fitti alberi di pigne, agli incroci delle nostre preziose vite.

Saturnino era un maestro dell’operosità lineare delle parole e dell’alchimia dei legni. Era un artista completo, lucente. Personalmente ho avuto la possibilità di incontrarlo a casa di Totò Casilli, un intellettuale di Lequile, scomparso qualche anno fa. Saturnino sapeva della mia passione per le letture, per lo studio, per la scrittura, ed era sempre molto paterno, protettivo, molto generoso nel suo eloquio spontaneo e fraterno.

Qualche volta, lo incontravo mentre andava in bicicletta per le strade del paese. Si fermava e discettava amabilmente di piccole cose quotidiane, ordinarie. Mi ha sempre invogliato ad inseguire sogni, attese, chimere, utopie. Quel patrimonio inesausto di beni immateriali, non consumistici, che rappresentano un giacimento di calie preziose, da custodire, da vezzeggiare. Lo ricordo, sì lo ricordo, luminoso, Saturnino, dispensatore di consigli e di parole. Si parla, talvolta, a Lequile, del “Saturnino incompreso”. Ebbene, solo chi ha l’indolenza di non voler scandagliare a fondo può dire: “Saturnino è stato incompreso”. Effettivamente, non tutti sono stati aperti e pronti a riconoscere il suo indiscusso valore. Ma chi ha la pazienza di leggere oggi i suoi versi, può affermare a chiare lettere che il nostro concittadino sia stato un importante poeta di questa Terra, di questo lembo di Sud.



Vattene stanotte col vento di settembre

poeta, è il tuo destino.
Tornerà il tempo dei quadrifogli,
torneranno le rose

e sulle labbra di una fanciulla

morta nasceranno i girasoli.

Vattene, stanotte, poeta,
col primo vento di settembre:

piangerai domani sul suo
minuscolo mondo di pietra

nascosto tra i cipressi.

Marcello Buttazzo

 

Per approfondire la figura e la poesia di Saturnino Primavera vi rimandiamo al sito di DarkCamera di Marcello Sambati da dove è tratta la foto che illustra questo post, relativa allo spettacolo "AFFRICA" del 1977.

https://darkcamera.idra.it/saturnino-primavera/