La poesia di Marcello Buttazzo


È stato riproposta su Amazon da I Quaderni del Bardo, di Stefano Donno, la raccolta di versi "Verranno rondini fanciulle" di Marcello Buttazzo. Ecco di seguito la nota di lettura che apre il volume di Vito Antonio Conte.

“Verranno rondini fanciulle” (targato iQdB Edizioni, di Stefano Donno) è il titolo dell’ultima silloge di Marcello Buttazzo, con dedica (la libertà è un volo di rondini fanciulle) a Emidio e Mirella (rispettivamente fratello e cognata dell’Autore) ed esergo (tanto l’amore è circolare, ritorna) a immortalare (il mai troppo ricordato) Ercole Ugo D’Andrea… Coniugando titolo dedica ed esergo si è di fronte a un auspicio del Poeta: dico auspicio e non desiderio e/o anelito ché mi sembra il sostantivo che meglio esprime e meglio s’accorda con le parole di Marcello Buttazzo e con ciò che le sue parole esprimono (soprattutto in questa raccolta di liberi versi). Desiderio e anelito (per quanto spesso utilizzati come sinonimi tra loro e di auspicio) stanno a indicare (…) un sentimento volitivo intenso, una brama ardente, che tende al possesso di ciò che si vorrebbe, nel mentre auspicio (nell’antica Roma…) è quel presagio tratto dal volo e dal canto degli uccelli e da altri segni della natura che (in questo caso…) indicano un augurio, scevro da ogni addentellato possessorio. Sottili differenze. Sottili sfumature. Diversa sostanza. Come il poetare di Marcello Buttazzo: di differenze, di sfumature, di sostanza (soprattutto)! Ché si scrive, in fine, sempre delle stesse cose: quelle che si son vissute, quelle in cui si crede, quelle che si spera accadano… E lo si fa per necessità, per un’insopprimibile assoluta viscerale necessità. Ché si tratta di cose (…) che non possono più restare dentro… Ma le parole per dirle cambiano. Così Marcello Buttazzo torna con le sue stagioni, declinandole come mai prima. Torna, ancora, il Poeta a scandire il suo passaggio coi suoi versi che sono pura alchimia del Tempo dell’esistere e dei Tempi dell’essere nel Tempo (in tutte le sue coniugazioni). E, a ben vedere, il titolo di questa raccolta poetica ben sarebbe potuto essere “Dell’Effervescente Ebbrezza Chiamata Tempo” (mutuando un verso del Nostro). Non solo per tutte le volte che il lemma tempo compare nei versi di questa epitome della scrittura di Marcello Buttazzo, ma anche per tutto quel che al tempo (comunque) rimanda e/o a esso è (in un modo qualunque) collegato. Ché qui è la vita del Poeta che scorre, con i ricordi, le delusioni, le epifanie, gli scazzi e i propositi del fare, oltre ogni chimera. I versi con cui s’apre questa raccolta sono un manifesto di quanto ho appena notato: Non respirerò / più fantasmi / azzurrati di cielo. /Non seguirò /più chimere /dalle ali spezzate. / Né utopie, né aspettative / di amori rosati. /Niente di tutto ciò. /Mi fermerò /a scrutare /il sapore del tempo. / (…) / Mi fermerò /su una nuvola /per vedere passare /tutte le malinconie / del mondo.
C’è, d’un lato, il passato (con tutto quel ch’è stato) e la consapevolezza – OLTRE TUTTO – dell’irripetibilità dei momenti vissuti. Della benedizione ché il male è – ORMAI – andato! Della maledizione ché il bene può tornare soltanto nel ricordo. Significativi, in proposito, questi versi: Non parlarmi del tempo, / il tempo è un inganno.
Ma, poi, il tempo, come detto, è tanto altro e, d’altro lato, c’è la speranza che possa essere amico e possa restituire qualcosa, nella (quasi) sicurezza che è meglio un buon dubbio che una cattiva certezza… Ché tutto quel che accade è esistenza che (contaminando destino e libero arbitrio) si ripete, cercando la propria strada: E la vita / forse / è proprio questa. / Ritmo d’eterno, / che va. Tra la rielaborazione di momenti d’infanzia, di giovinezza, di maturità… Quel che resta, in una liturgia che muove patendo (residua sofferenza) nel buio più scuro dove siamo soli pensai sino al tarlo felice al tarlo lieto e allo stupore d’una donna scolpito in quell’ultimo bacio la cui fine non impedisce il ruscellare nel porto salvifico del tempo, (quel che resta, dicevo) è tutto nell’immortalità d’un altro verso: Sei le cose che mutano / ma non passano mai. / Il pianto antico / della madre stanca, / l’albeggiare improvviso. / Lo sfinimento delle parole.
È un exursus che va dai colori forti ai colori tenui e pastellati: dal blu ardesia dell’elleboro (la bellissima rosa di Natale), al viola ch’è (come i versi di Marcello Buttazzo) sintesi di forza ed energia (rosso) e calma e malinconia (blu), al celeste chiaro che (tra l’altro) compendia il relazionarsi del Poeta col mondo s’è vero (com’è vero) che l’azzurro è simbolo della comunicazione attraverso la creatività… È un exursus dai lemmi ricercati (dall’aulico sino al neologismo): basti pensare al tramonto (…) che nel vocabolario dell’anima di Marcello Buttazzo diventa occaso, occiduo… È un exursus dalle sonorità lievi: come un madrigale amoroso… È un viaggio di cui conosci l’inizio ma ignori la destinazione. È un viaggio fantastico nel reale. È un viaggio traverso la purezza d’un’anima. Di Marcello Buttazzo del suo sangue e della sua anima in versi ho detto e scritto a più riprese. Probabilmente non sono riuscito mai a esprimere sino in fondo quel che lui stesso, coi suoi versi, è riuscito a dire (onnicomprensivamente) di sé: Un fitto cadere / di stelle / sulla notte / di puro diamante. / Corre marzo,/ morbido fanciullo. / Lui porta primavera, / ogni virgulto / è un segno nell’anima, / un’orma nel corpo / dilacerato d’amore. / Una densa pioggia / di stelle / sulla vita-corallo. / Un serafico occaso / da pregare / silenziosamente / alla fine del giorno. Tutto è qui, sino alla fine del giorno. Lasciate stare il mio dire soggettivo e godetevi questo piccolo grande libriccino, lentamente. Sino alla fine del giorno.

29 agosto 2017
Vito Antonio Conte