Sulla poesia di Giuseppe Fioschi in “Tra l’attimo e l’infinito”




di Luciano Pagano

“Tra l’attimo e l’infinito” (Spagine/Poesia) è il titolo della raccolta di poesie di Giuseppe Fioschi, uscita in 100 esemplari nel maggio del 2019. Il libro contiene due note di lettura, a cura di Mauro Marino e di Marcello Buttazzo. Mi sono addentrato nella lettura di queste poesie in cerca di una voce, di un percorso, che già avevo conosciuto per aver letto, circa tre anni fa, “Il coraggio di cambiare” (Spagine, 2017), nel quale Giuseppe Fioschi presentava la sua esperienza personale e poetica, in un testo che univa al racconto diretto quello fatto in versi. Quindi, anzitutto, se prima mi aveva incuriosito leggere le sue cose, per una vicinanza diretta e quindi per una curiosità spontanea, adesso la curiosità era nei confronti dei versi, per vederne e coglierne una progressione in atto.

La prima poesia della raccolta descrive una scena naturale, in un paesaggio campestre, in un giorno d’estate, all’orario mattutino che precede l’arrivo del caldo opprimente, dell’afa che strozza la gola. “Nonostante tutto/ attraverso il mio tempo/ accolgo chi viene”. In quel “nonostante”, posto nel componimento che ha il sapore di un invito, di un saluto sulla soglia di casa, c’è un po’ del senso di questa raccolta, dove le poesie non hanno titolo, seguono il flusso di un racconto per versi, e ce n’è una (p. 10, p. 11) che ha come dedica “In memoria di Piero”, senza mediazione che non sia quella di seguire il proprio dettato interiore. Dopo un ingresso estivo, solare, l’amicizia è il secondo tema che incontriamo, la scomparsa di un amico fa sgorgare lacrime che “germoglieranno/ sul suolo sacro/ della nostra amicizia”. Bastano due poesie per accorgersi subito di una delle intenzioni che l’autore versa nella propria scrittura, ovvero sia mettere da parte, per il lettore, le cose che sono più significative, importanti. L’atmosfera rarefatta di una tarda mattinata, nella solitudine dell’attesa, l’amicizia, un abbraccio.

Il paesaggio, l’amicizia, i ricordi, come quello della madre (p. 12) e dei giochi da bambino, come se dal tempo si potessero rubare e riportare indietro attimi di una vita che non ci aveva ancora gettato in pasto al suo tempo senza tempo, con la sua frenesia. La parola “tempo”, sin qui già comparsa in ogni componimento, è una ricerca dei suoi attimi, in modo consapevolmente disperato, per trovare quelli in cui il tempo era propizio. Il poeta è un uomo che cerca (p. 13), va incontro alla vita e alle persone, “mi muovo”, “ti cerco”, “giro e rigiro”, il mondo oltre a favorire l’ispirazione al racconto di ciò che accade come campo visivo, è anche il luogo della stessa ricerca/scrittura.

“Tra l’attimo e l’infinito” trasmette l’idea di una scrittura che non avviene tra quattro mura, ma in strada, nella corsa, nella natura. E la terra chiamata per nome (p. 14), Gaia, è il luogo spensierato, con echi leopardiani “Nei campi, mirando/ lo spensierato vuoto/ nell’aria infinita”, e nonostante il dolore la percorra non è ancora persa la speranza di rintracciare in essa sogni, visioni, colori, la natura è un “porto quieto” di foscoliana memoria.

Il centro della raccolta (p. 15) ospita un componimento che fa da spartiacque, perché racconta di una nuova nascita che segue a un episodio cruciale, a una vera e propria morte, “In questa terra strozzata, morivo”. La terra che è madre, generatrice di sogni e visioni, è strozzata. Così anche nel componimento successivo, dopo la condanna, l’autore scosso disseppellisce le orme del passato e forse è pronto a ricominciare. Si tratta dell’interpretazione di un racconto personale, un itinerario nella propria esistenza, un colloquio con sé stesso e una confessione, allo stesso tempo. E effettivamente ciò che segue (p. 17) è un ritorno della bella stagione, la primavera, col suo senso di rinascita che va di pari passo con la rinascita del poeta “al limitar del nuovo giorno è primavera”, il vento è “frizzante”, l’invito al nuovo si concretizza con una passeggiata nel centro storico di Lecce, dove nelle viuzze, tra il sacro e il profano, gli elementi di una natura nascosta si mescolano alle “vestigia” del passato, in una piacevole confusione. Il poeta si abbandona al paesaggio che lo circonda e vuole comunicare al lettore la sua sensazione di risveglio dopo il turbamento delle esperienze passate. Dopo l’immersione-rinascita nel paesaggio il poeta è pronto per un nuovo canto (p. 19): questo è il secondo inizio della raccolta, il vero prologo in cui sono comunicate le intenzioni, ciò che verrà raccontato non saranno la bellezza della natura, delle sue creature e i suoi misteri, ma i misteri dell’animo del poeta, la consapevolezza dei drammi, il desiderio di riscatto dopo la trasformazione, le inquietudini, le lacrime e i sorrisi. Quindi l’elemento primo di “Tra l’attimo e l’infinito” è l’uomo, il poeta, l’autore, il suo percorso e la sua vita propria, senza maschere né menzogne.

Tuttavia questa decisione di darsi al mondo non può dettarsi per scelta in una relazione univoca, non è scontato che il mondo accetti i nostri doni, e soprattutto ― come accade nella scrittura ― esiste un moto di reazione allo stesso gesto del dono. Il dono non è problematico per chi dona, il dono pone degli interrogativi a chi riceve, che non sempre è pronto. Così il poeta in questo percorso di avvicinamento al mondo (p. 20) sperimenta il rifiuto, e la sensazione che l’accesso al sogno di bellezza di una Chimera, intesa come sogno che si realizza, è interdetto. C’è un forte anelito alla ricerca dell’altro (p. 21), dell’amore (p. 22, p. 23), che sono sospesi e che si allontanano, che non sono negati, in modo esplicito, ma nemmeno raggiungibili per vie semplici, non tortuose.

Riassumiamo allora le tracce, sin qui, di questo viaggio. La contemplazione del paesaggio e l’immersione nelle sensazioni che la natura ci offre, permettono di raggiungere una certa quiete, un riposo del cuore al riparo dal mondo. Questo sentimento si accompagna al ricordo di ciò che è stato, nel tempo passato e solo in quello, in quella età della fanciullezza in cui si nascondono i ricordi felici, prima che il mondo ci avesse presentato il conto dell’esperienza. L’ispirazione si misura con il proprio passato e si adegua al presente, trovando gli spunti per raccontare una nuova nascita, che subito si scontra con una realtà effimera, fatta di maschere e incontri sfuggenti. Ci vuole un momento di riflessione, per fare tacere “Il respiro affamato” (p. 24). È il tempo del ricordo (p. 25) che torna nuovamente, perché forse è il tempo, “tra l’attimo e l’infinito”, la chiave di tutto. Forse solo nella comprensione del proprio ruolo nel tempo, che avviene la comprensione di questo percorso poetico, di questo racconto della vita in versi. I luoghi di questi versi sono situati tra Lecce e San Pietro in Lama, la provincia e San Cataldo/Lido York, quest’ultimo costituisce, col capoluogo salentino, un’asse non solo geografico, ma anche ideale e poetico.

La prosa conclusiva (p. 31), spiega al lettore l’episodio da cui si sono originate queste poesie, l’uragano si è placato (p. 26, p. 27), restano i versi dedicati a chi (p. 28, p. 29) cerca la salvezza, proprio prendendo il largo di quel mare che in una notte di tempesta è stato apportatore di sconvolgimento. Così si chiude la raccolta (p. 30), e il lettore intuisce anche quali sono stati i motivi che l’hanno originata, quasi in un paragone tra ciò che il mare ha recato al paesaggio, con la sua tempesta e ciò che la vita ha recato nell’autore.

Luciano Pagano