Per Paese nuovo

Paese Nuovo: Quello che oggi si chiede…

C’era un giornale, una voce, un aggregato nuovo, un laboratorio di riflessione, prove di scrittura per una critica costruttiva, capace di generare azioni e reazioni. Adesso non c’è più. C’era “il Paese Nuovo” – un pensiero, uno strumento – ed è finito nei più vecchi dei garbugli editoriali in salsa salentina.

Garbugli che son prassi nelle imprese giornalistiche di questa terra affamata di lavoro, dove spesso non c’è spazio, tempo e voglia, di riconoscere le professionalità: che son scomode, pretendono, rilanciano, contraddicono.

E’ stato fin troppo facile per gli editori-padroni di “Paese Nuovo” mettere a tacere il non più condiviso lavoro (quotidiano) intellettuale di un’intera redazione. E’ bastato un capriccio, un colpo di coda, una dimostrazione di forza (?) da parte di un padronato miope. Tutto è finito.

“Prima dipendenti e poi giornalisti”. E così sia. Una serratura cambiata e la mattina di lunedì 16 giugno tutti per strada a chiedersi cosa possa aver motivato un atto di così basso profilo. Nessuna spiegazione, nessun perché, nessuna comunicazione ufficiale. Tutto merito, forse, dalle richieste di chiarezza e certezza lavorativa presentate dai noi lavoratori nei giorni precedenti.

Quanto è fragile la signorina democrazia. Quanto è facile zittirla, metterla all’angolo e abusarne, nell’indifferenza generale.

A Lecce, nei giorni scorsi, è stato scritto l’ennesimo capitolo di uno sfruttamento intellettuale non più accettabile in una terra che ha pretese di sviluppo, di innovazione, di riscatto politico.

Che Salento è quello che viviamo? Questa la domanda. Quale crescita e quale crisi lo attraversa? C’è crescita, c’è crisi? O una rendita logorata da anni di Salento: così luccicante e assolato fuori, così brullo e incompiuto dentro. Tanti i tentativi, tante le posizioni, tanti gli attori, i comprimari e le comparse, eppure a queste latitudini continua a vivere indisturbato un latente ricatto occupazione che deprime i germogli pur rigogliosi che questa terra esprime tra mille difficoltà.

Ebbene, “il Paese Nuovo” chiude senza un perché in attesa di comunicazioni ulteriori, chiude e segna un nuovo punto verso il fondo. Chiude e sbeffeggia non solo i suoi lavoratori, ma tutto il mondo della comunicazione e dell’informazione in particolare, tutti coloro che all’interno di questo universo di segni e interpretazioni della realtà si adoperano per ritagliarsi nicchie di professionalità.

Quello che oggi si chiede al mondo della politica, delle imprese, dell’università, della cultura, della cittadinanza definita “attiva”, è un sostegno che non deve essere caritatevole né compassionevole, ma una presa di posizione netta contro una cultura del fare impresa non più accettabile. In altri termini le vicissitudini che oggi soffocano un’idea – “il Paese Nuovo” – sono un pretesto per chiedersi una volta di più e senza populismi di sorta, se è questo lo sviluppo che vogliamo; se è questo il Salento che cresce; se è questo quello che si è disposti ad accettare per vivere - pare - baciati dal sole, bagnati dal mare e asciugati dal vento.