Sulla poesia di Manila Benedetto





Manila Benedetto

Un erotismo surreale, ironico, dunque crudele!

di Lello Voce


Nei paesi anglosassoni si parla da qualche tempo di una extraordinary tide, di una straordinaria ondata di scrittura poetica femminile.
La cosa sarebbe sostenibile anche in Italia, e facile sarebbe snocciolare qui un elenco di autrici di elevatissima qualità, tra i 30 e i 40 anni. E che si tratti di un’onda lunga è testimoniato da una serie di autrici ancora più giovani, che pubblicano le loro prime raccolte in questi mesi.
Un esordio di rilevante interesse è, infatti, anche questo Pelle Sporca di Manila Benedetto, autrice poco più che ventenne, ma già con una rilevante esperienza di scrittura (soprattutto digitale) alle spalle.
Quella della Benedetto è certamente scrittura fondamentalmente erotica, ma di un erotismo che sa farsi surreale, ironico, dunque crudele all’ennesima potenza, nell’allegorizzare verso il basso, il quotidiano, ciò che altri, meno accorti e certo più ubriachi di retorica, non esiterebbero a pompare verso l’alto: «Come si fa a desiderare / un uomo sottile, / da tener in tasca / - ma con la testa fuori - / per usarlo un giorno / all'occorrenza, / scioglierlo in acqua come / un'aspirina, / e sciolto berlo / e digerirlo / e poi pisciarlo via / in un qualche cesso di periferia.»Dal magma di una vocazione stilistica ancora variabile, turbinosa, schizzano lapilli poetici assolutamente compiuti e che ciò accada anche e soprattutto quando l’autrice riflette sul suo fare è segno certamente ottimo. Né trovo parole migliori delle sue, per descrivere l’impressione immediata che i suoi versi trasmettono al lettore attento: «ferma orgogliosa intimamente inespressa, / è così che scrivo contorta su me stessa / ripiegata agli affanni distanti, fugaci, / perché altro io non so fare se non scrivere / ossessioni e parole, parole e ossessioni.». Quasi che scrivere non sia una scelta, ma innanzitutto una necessità, un meccanismo biologico che permette l’equilibrio olistico di una personalità (poetica e materialmente umana) che altrimenti esploderebbe in mille frammenti, come bomba pestata sull’innesco. Non a caso, poco più avanti, si legge: «Fogli e corpo, / unico universo.».
La pelle sporca è, dunque, sì, quella della scrittura, ma anche quella del mondo (Life is a bitch, than my blog, porta in esergo il weblog della Benedetto, alias Princess Proserpina), delle relazioni esistenziali, della comunicazione tout court, in un mondo inquinato tanto quanto l’immaginario degli umani che lo abitano: «Non c'è strada migliore, / non esiste il suono del confine, / quel che vedo è vero disastro / di vite frantumate in insulsi / sorrisi come insulti e sassaiole».
Sorta di cronaca di una caccia (all’amore, al senso, al sesso) in cui i ruoli di preda e cacciatore si invertono vorticosamente, a seconda degli accadimenti, o delle situazioni relazionali e/o erotiche, Pelle sporca alterna poesie dai versi brevi, quasi tarpati, a tre inserti in prosa, una prosa di flusso, ricca, a volte addirittura tracimante, prose che narrano di potere e di amore, di amore del potere e di potere dell’amore, tema che si accompagna bene agli esiti più felici di versi spesso erotizzati sino ai limiti del possibile, ma che poi, con repentina inversione di marcia, si quietano nel day after verbale di post-orgasmi travolgenti: «sono liquido profumato riverso nel letto delle tue mani.».
Ma l’erotismo sembra – in ultima analisi - l’unica via di fuga (come la poesia, eccola, infine, l’equazione risolutiva!) da un reale asfittico, economico, sordo, sovente inutile, e allora il sesso si tramuta in speranza, sorta di utopia dei lombi, delle cosce, dei sudori, che apre squarci, varchi nella rete che imprigiona: «quando tutto / pare ancora / un anelito di cielo / in un centro commerciale / di menti.»
E quando tutto questo conquista l’equilibrio del funambolo che sente il ritmo e lo fa risuonare sulla corda dello stile che percorre, allora il dolore si fa leggerezza, il singhiozzo sonaglio che porta il tempo di una scommessa da rinnovare ogni giorno, come nella efficacissima Supina, giaccio: «Sembra che abbia bevuto / l'aria / perché non tocco sapore / eppure ubriaca vago / io / ripeto io / che vivo senza cognizione / di cosa significa vivere. / Io, vivo / - ripeto vivo - / leggera in una posizione supina / (che in quella posizione lì si sta meglio a far l'amore) / e mi sento / facile / - ripeto facile - / come certe / domeniche mattina.».
Cosa si può chiedere di più ad un esordio?