di Cesare Minutello -
Eccomi qui Totò, a scrivere di te, ora
che si vede la tua, la nostra civiltà “…simile
alle periferie/ piena di barattoli di plastiche/ di scarpe vecchie/ di bambole spezzate
di fumo/ di puzze/ di cadaveri di cani bruciacchiati.” (1). Ma non è di
questo che ti voglio parlare. Come sai, tua moglie Paola da anni mi ha affidato
il compito di tutelare in qualche modo tutto ciò che di te la riguarda, compito
che cerco di svolgere armato delle mie modeste capacità, ma con l’affetto e il
rispetto che sento di dovere ad entrambi.
In uno dei nostri incontri, ricchi
di ironie, sorrisi e discussioni, mi sono presentato con una piccola bottiglia
di nocino in dono, quello fatto in casa da mia cognata, per ricambiare le sue
torte, buonissime. Ricordo che quella volta mi ha chiesto, e le ho promesso, di
dire la verità, la verità, finalmente, sui tuoi due ultimi giorni qui da noi.
Non so perché ancora si ha timore di
stralciare per sempre l’immagine del suicida, magari modello, come scrivevi tu.
Come se tu avessi bisogno dell’aureola del suicida per affermare
inconfutabilmente il tuo essere Poeta. Sono i tuoi testi ad essere fuori
dall’ordinario, difficili come sono da collocare in una corrente, in un
movimento, così unici, rivelatori e ironici, a tratti aspri eppure capaci di
vette liriche emozionanti, nel coraggioso affrontare la vita tutti i giorni,
giorno per giorno, senza la maschera delle convenzioni, pronti a denunciarne gli
abbrutimenti, le derive, le crudeltà, le viltà.
Lo dico una volta per tutte, perché
è tempo che si sappia con chiarezza, è tempo che Paola, i figli Giovanni,
Pierluigi e Tebe non debbano più confrontarsi con l’immagine aleatoria ed
infondata di un marito e padre suicida.
Toma aveva già tentato la strada
della disintossicazione dall'alcol in quel di Carbonara, con risultati
abbastanza soddisfacenti. Ma il bel tempo durò poco e la ricaduta fu peggiore
del previsto. Il Nostro però non si
relazionava più bene col suo corpo e se è vero che per smettere di bere doveva
smettere di scrivere, per non smettere di scrivere doveva e voleva stare bene.
Per amore della vita e, quindi, della poesia.
Si confrontò con un medico di Maglie,
che saltuariamente frequentava le Ciancole per raccogliere dei funghi, sì le
Ciancole, il bosco-regno del Great Poet. Decise di ricoverarsi all’Ospedale di
Gagliano del Capo, dove il medico prestava servizio, ed ecco spiegato perché
non a Maglie, o Scorrano, o Poggiardo, più vicini, o a Lecce, più facilmente
raggiungibile.
In quei giorni, era il marzo del
1987, fecero capolino dei fiocchi di neve, così insoliti qui da noi, quasi
premonitori di qualcosa di inaspettato, di uno spartiacque clamoroso.
Fu il medico stesso a condurlo in
ospedale. Non c’era alcun sentore di situazione compromessa, semmai la speranza
di poter rivedere, prima o poi, un Totò in buona salute. Nella mattinata del 17
di quel marzo a Paola fu comunicato che suo marito, inaspettatamente, versava
in gravi condizioni. Si fece accompagnare da conoscenti e quando giunse a
destinazione, prima di mezzogiorno, trovò Salvatore nella camera con l’ago di
una flebo conficcato nel braccio, nella struttura semideserta. La lingua come
gonfia nel palato gli impediva di parlare. Era con gli occhi che tentò di
comunicare con sua moglie, nell’estremo tentativo di dirle almeno una parola.
Alle 15 dello stesso giorno rientrò
a casa, senza più respiro, già tornato natura. "Spesso penso alla morte/ al modo in cui dirò addio alla vita/ a come
avrò la bocca in quell'istante/ le mani il corpo. /Vorrei morire mi dico/ senza
saperlo/ a tradimento/ in un momento/ in cui non me l'aspetto..." (2).
L'aveva scritto, è successo.
Ha detto pure “A questo punto/ cercate di non rompermi i coglioni/ anche da morto…”
(3).
Perdonami Totò, se oggi ti ho rotto
i coglioni da morto. Ѐ che ci siamo incontrati, in piazza, in villa, per
strada, alle Ciancole, e ti piaceva parlarmi e da buon aspirante poetucolo
stavo ad ascoltarti. Oggi, per una volta, ho parlato io.
Sei “un grande poeta/ uno di quegli artisti singolari… Infatti come chi
tutto conosce/ voglio godermi la vita/ ogni momento/ piuttosto che avere alla fine/
la fregatura di un monumento" (4). Con fermezza e superando gli
ostacoli e le amarezze con balzi da canguro, aggiungo.
Un saluto dalla tua AISdP
(Associazione Internazionale Stanchi di Parole), che facesti esordire nel
luglio 1979 su Un anno in sospeso, e
dagli amici che ti sono accanto immutabilmente fedeli e come bambini continuano
a spostarti il vasino per verificare se riesci ancora a colpire nel segno. Ma
tu anche dalle celesti praterie hai sempre una buona, ineffabile mira.
A volte capita pure di sentire la
tua voce.
Quando
morirò
io
mi sentirò bene lo stesso
e
fresco e semplice
come
una volta.
Quando
il colpo alla tempia
mi
ucciderà
io
starò ancora più bene
conserverò
sempre
il
mio odore selvaggio
e
sfiderò il vento
con
l’identico stile
di
questa sera d’inverno.
Starò
sempre e bene comunque.
Anche
da morto
io
sarò un ribelle
uno
strano tipo
giacché
non c’è altro modo
oltre
la morte
di
curare i rimorsi i dispiaceri
la
noia i soprusi
le
bruttezze le violenze
i
capogiri della vita.
Mi
sentirò bene anche da morto
e
puro e semplice e ribelle.
9.12.79
**
…fuori l’aria
s’era fatta quasi buia
carica di un azzurro senza fine
con qualche rara stella
ancora troppo lontana
che la chiarezza sola della notte
avrebbe avvicinato.
Non mi sono mai piaciute le città
il chiasso fatto apposta
per non pensare
le recite gli attori le commedie
comode vigliaccate
imparentate con la vanità.
Dentro è vero
si faceva teatro cabaret
pretese vane di volare
ma io trovavo più importante
la tristezza del mio cane.
3.1.1979
**
Vorrei essere immortale
per un certo numero di anni
sapere di non incappare
in strani eventi
sorprese disgustose
lutti condanne rimorsi.
Saprei allora essere diverso
forte incorreggibile
sfidare tutto con destrezza
sapere già la sera
se al mattino sarò vivo.
Non sarei più un poeta
un folle un perdente
a me stesso ossessivo.
26.1.1980
(Le tre poesie riportate, già
in “Ancóra un anno”, Capone Editore, Cavallino di Lecce, 1981, ora sono in “Salvatore
Toma Poesie 1970-1983”, Musicaos Editore, Neviano, 2020 )
Note
1) Penso al mondo che gira… in “Forse
ci siamo”, Pensionante de’ Saraceni, Caprarica,1973
2) Spesso penso alla morte… in “Un
anno in sospeso”, Lalli Editore, Poggibonsi,1979
3) Ultima lettera di un suicida
modello in “Ancóra un anno”, Capone
Editore, Cavallino, 1981
4
)Sono un grande poeta…in “Un anno in sospeso”, Lalli Editore, Poggibonsi,1979
Foto
di Cesare Minutello, marzo 1974-