Una poesia di Benedetta Pati

Benedetta Pati


È che vivo in una città così piena
di cose, case, chiese.
È che vivo in una città che sembra non fermarsi mai
anche di notte, notte fonda, notte scura, quando tutto è fermo
c’è un ubriaco che, al centro della pista, si declama
Ci declama.
È che vivo in una città in cui chiunque è impegnato a fare:
c’è chi fa la scuola,
c’è chi sta in ufficio,
c’è chi ha la vita
e c’è chi
lo ha
la morte.
È che vivo in una città…
È che vivo in una città che è simile ad un paese.
È che vivo in una città che sembra una me-tro-po-li.
È che vivo in una città dagli enormi trambusti.
È che vivo in una città senza tram, con tanti busti.
È che vivo in una città con grandi busti fissi.
È che vivo in una città in cui la gente ha paura di parlare,
in cui la gente
non sa
parlare.
È che è una città aperta, la nostra;
una città in cui non c’è l’italiano,
una città col senegalese, lo spagnolo ed il cinese ed il polacco.
Allora, chi è che sa parlare?
Parlare cosa, poi…
È che vivo in una città in cui tutto è già successo.
In cui ogni fase si ripete un’altra volta.
Una città in cui non c’è niente di nuovo perché il nuovo lo inventano gli altri.
Eppure, vivo in una città che non ha paura di sbagliare,
in una città che non ha paura di ripetere
perché gli errori, fatti due volte, custodiscono delle sorprese.
È che vivo in una città poco mia, a cui appartengo.
È che vivo in una città che non ho scelto, che mi ha scelto.
È che vivo nella città degli illuminati,
dei circoli belli, del sapore amaro.
È che vivo / nella / città.
E questo mi basta per starci bene.