I volti, le storie per Milena Magnani

di Antonio Errico

Spesso le storie vengono da lontano, portate dall’esperienza di creature che passano frontiere, che di tanto in tanto escono dalla profondità abissale di un silenzio di generazioni e di secoli, e sussurrano, quasi che raccontassero a se stesse, leggende che sembrano verità o verità che sembrano leggende. Milena Magnani ne Il circo capovolto (Feltrinelli, 2008), racconta storie che vengono da lontano, che rappresentano moltitudini, che dicono di destini, lingue, culture, progetti, fallimenti. Che maturano dentro inverni terribili, inferni quotidiani, nel grande sogno di un circo. Per raccontare storie che vengono da lontano, che nello spazio e nel tempo hanno strascicato dolori, inquietudini, assenze, ci vuole un linguaggio leggero: parole che sanno coinvolgere e avvolgere come se la storia fosse una fiaba, che sanno scrostare la realtà, liberarla dalla sua natura greve, simulare una distanza dai fatti, celare gli appassionamenti, individuare e confondere le differenze per trasformarle in diversità che agisce come valore, come condizione che accomuna gli uomini e le loro esistenze. Per raccontare storie che vengono da lontano bisogna saper andare a cercarle. Perché le storie si rivelano a qualcuno che sa andare incontro. Vogliono che poi si abbia l’umiltà e la pazienza e il tempo di comprenderle nella loro profondità, nella loro essenza. Ma soprattutto: vogliono che si riconosca il volto di colui che racconta. In questa storia si riconoscono i volti. Identità delineate, marcate nelle loro fisionomie individuali e culturali, individuate ( sorprese) negli istanti in cui è azzerato – o almeno molto ridotto – lo schermo di difesa nei confronti del mondo che è fuori, che è oltre, che è altro rispetto al proprio universo di ricordi e di ferite, di parole essenziali e di silenzi. Milena Magnani ha tutta la sapienza del narratore che sa far comprendere senza descrivere: le basta l’accenno ad un trasalimento, ad un improvviso farsi muto, ad un volgere lo sguardo verso lontananze indecifrate. Sa bene che i mondi interiori dei suoi personaggi possono essere compresi soltanto attraverso un processo – graduale o immediato – di compenetrazione, di rivelazione, di assimilazione del senso che si attribuisce ai pensieri e alle azioni, alle rare felicità e alla perdurante memoria dell’orrore. I dialoghi scarni, essenziali, rapidi, rappresentano un metodo di esplorazione del sé dei personaggi. Ma ogni sé è un mondo di significati. La cifra che caratterizza il procedimento narrativo del Circo capovolto è la capacità dei personaggi di rivelare quel mondo di significati non attraverso nuclei tematici e semantici ma con allusioni, elementi secondari, riferimenti marginali. Probabilmente per capire da dove proviene questa connotazione della Magnani si deve ripensare a quel passo del famoso saggio sull’opera di Nicola Leskov in cui Walter Benjamin dice che la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori e l’esperienza che passa di bocca in bocca. Poi aggiungeva che fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, “ i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi”. Ecco. L’esperienza. La voce. Milena Magnani dà voce all’esperienza. E l’esperienza dei suoi personaggi ha la voce dell’emozione e dell’esperienza della memoria che scava nel tempo, che cerca di comporre – o ricomporre – i particolari delle storie di ciascuno in una storia complessiva, ogni identità esistenziale in una identità culturale. Questo racconto dimostra – o ribadisce- che la narrazione può anche modificare il passato: può rendere in qualche modo giustizia, oppure giustificare, oppure riuscire a dimostrare colpe e ragioni, le verità e le menzogne, la banalità del bene e anche quella del male. Spesso, in questo libro, il racconto è un resoconto, un modo di dare senso ( e forse di cercare il consenso) per quello che si è fatto o non si è fatto, si è detto o si è taciuto, si è osato o si è trattenuto. Lo stile di Milena Magnani si caratterizza anche per la capacità di trasformare in ordinario, in consueto quotidiano, tutte quelle situazioni che hanno, in realtà, le caratteristiche della straordinarietà, che scardinano i codici dell’opinione comune e del comune senso della storia. Il reale e l’immaginario, e soprattutto quella condizione che consiste nella combinazione sapiente dei due elementi, danno a Milena Magnani i testi, ma anche i pretesti, per un giudizio indiretto sulla storia e per una pietà nei confronti dei destini individuali e collettivi. Così le vicende dei suoi personaggi si intrecciano, si sovrappongono, a volte si confondono, si ripetono, ritornano, seguendo una struttura circolare che rappresenta i percorsi dell’esistenza e i ricorsi della storia che non si ripropongono mai in maniera identica ma con il cumulo delle varianti provocate dal tempo e dall’esperienza che brucia.