Nel cosmo salentino

Intervista di Francesco Rizzo (nella foto)
ad Ercole Ugo D’andrea registrata su nastro nell’ Aprile 2002.

Qual è stata la sua prima raccolta di poesie?

La mia prima raccolta di poesia è stata Rosario di stagioni, fin dal lontano 1964 nei quaderni del Tritone diretti da Vittorio Pagano a Lecce; è tipicamente prima prova perché quello che avevo scritto in precedenza erano soltanto esercitazioni. Fu accolta con benevolenza da Oreste Macrì e da Mario Luzi. Però passò inosservata alla critica.

Pur essendo la prima raccolta sono presenti i temi che saranno ripresi più tardi come lo spazio domestico, o quello della madre…

Certamente, i temi che si affacciano in Rosario di stagioni sono gli stessi che riprenderò successivamente nel ’67 con Spazio domestico e nel ‘73 con Ozi e negozi. Ma poi in tutta la mia produzione questo tema della madre e della casa e delle stagioni ritornerà con maggiore consapevolezza. Oreste Macrì riprese poi in un suo piccolo saggio, per me molto importante, Spazio domestico, su “L’albero” nel 1972 nel numero 48 della nuova serie, nuova perchè ripresa da Donato Valli e Oreste Macrì dopo la morte di Girolamo Comi.

Ozi e negozi ha la prefazione di Mario Luzi. Come e quando è avvenuto l’incontro con Luzi?

Ricordo che quasi sicuramente è stato nel 1966, quindi io avevo esattamente 29 anni e andai appunto a trovare Oreste Macrì che era a Otranto, mi ci mandò con una lettera la compianta Maria Corti grande filologa e romanziera. Macrì mi accolse con molta affabilità, lesse la lettera e mi dette una letterina d’accompagnamento per Betocchi. Io mi recai a Firenze anche per un altro motivo - che non sto qui a dire - e lì, al caffè Paskoski, c’erano un po’ tutti, da Alessandro Bonsanti a Silvio Ramat, che diventerà poi il mio critico migliore, uno dei poeti più in vista di questa seconda metà del Novecento e c’era anche Sergio Baldi studioso di letteratura spagnola, c’era lo stesso Betocchi, e sul tardi comparve Mario Luzi, in modo quasi clandestino direi, andò a sedersi in un angolo e ci scambiammo qualche parola: lui mi chiese se conoscevo Vittorio Bodini, io che lo conoscevo poco tuttavia dissi di si, e cominciò questo affabile colloquio. La sera stessa mi invitò a cena.

Luzi conosceva già le sue poesie?

Gliele mandai io nel primo libretto (Rosario di stagioni), e lui mi scrisse queste parole: “Mi piacciono quei poeti che partono da qualcosa di reale, lei è di questi”.

Quali sono state le sue prime letture?

Landolfi, Sinisgalli, Betocchi, sono questi tre quelli che mi hanno influenzato di più. Più anche di Montale, Ungaretti e Quasimodo, che sono la triade con la quale ognuno ha fatto un po’ i conti.

Ungaretti lo conobbi a Roma. Mentre ero studente di giurisprudenza passavo a sentirlo nella facoltà di Lettere mancando alle lezioni di economia politica del rettore dell’Università.

Cos’è lo “spazio domestico” di Ercole Ugo D’andrea?

E’ già detto nel titolo, si tratta di tematiche e contenuti a livello domestico, dove compare molto di frequente la madre e anche i nipotini, le stagioni, le fioriture, gli autunni, quindi il mio modo di vivre queste cose era disarmante, avevo già, come diceva Elio Vittorini, degli astratti furori.

Qual è la raccolta di poesie dove lei sente e descrive di più il Salento?

Questa è una bella domanda e meriterebbe una bella risposta, senz’altro è La Confettiera di Sevres, la più vicina al cosmo salentino, uscita nell’89 da Lacaita, editore di Manduria.. Ricordo che era d’estate e con la macchina andavo a visitare i paesi del basso Salento, ci passavo dentro, e poi al ritorno avevo sempre pronto un mucchietto di versi perchè mi lasciavo intridere dalla bellezza di questo nostro paesaggio, anche se ora è molto cambiato. Veramente questo libro è stato il più fortunato, fu anche premiato a Pistoia con il premio Ceppo D’Oro. E’ senz’altro il canto più libero, uno “spazio aperto”, questa volta dovrei dire, e non domestico.

Quindi nella Confettiera di Sevres si apre la porta e si passa da un microcosmo spolverato e sistemato ad un macrocosmo dove c’è la campagna dove c’è l’elemento più profondo anche da un punto di vista estetico.

Certo, ricordo perfettamente che mi preparavo a questa specie di rituale incontro con la campagna salentina in certe ore particolari della sera, indubbiamente in questi miei viaggi in macchina fino all’estremo capo di Leuca coglievo degli aspetti prima di tutto nel paesaggio una specie di macrocosmo rispetto al microcosmo domestico e mi lasciavo quasi permeare da questa bellezza del paesaggio, un’ abbondanza di fiori, di frutti. Originai questo libro nell’estate dell’84 e lo terminai nell’86, nell’89fu editato.

So che ha anche incontrato Girolamo Comi?

Conoscevo di nome Comi. In un recital di poesie che si tenne a Poggiardo, avendo avuto già il mio libretto Rosario di stagioni, mi invitò ad andarlo a trovare nella sua casa patrizia, il palazzetto avito di Lucugnano. Ho conosciuto Comi negli ultimi quattro anni della sua vita, dal ‘64 al ‘68, lui morì mi pare nel ‘68. L’impressione che mi fece Comi come uomo fu particolarissima perché era molto arguto, si faceva benvolere per certe sue battute, come poeta indubbiamente era notevolissimo soprattutto sul piano dello stile.