L'Angelo che sorride alla mia stoltezza

Ercole Ugo D’Andrea ( 1937/2002 )

Un’ ora d’imbrunire - 1981

Vecchie luttuose
tengono
linde le corti,
ne sono come a guardia
con le mani in grembo;
scrutano il passante
elegante, un foulard al vento,
non sanno che sono uno di loro.

S’incrociano gli sguardi,
forse i destini s’incrociano.

E’ un ora d’imbrunire, di sgomento.


L
a solitudine - 1982

Ho scelto la solitudine
perché il rovescio della medaglia è clamore,
rozzezza, arroganza.

Ho scelto la solitudine
perché così un tempo m’avanza
di puri addii alle cose.

Ospite o esiliato nel pianeta
ho scelto via più breve la distanza
che va dalle stagioni
- come ruotano vorticosamente –
sino al fiorito niente delle stelle.


C
he fa… - 1982

Che fa la tristezza…
Che fa la solitudine…
Io tengo un diario celeste e terreno
anche quando non scrivo parole.
Creativi sono
il piatto di ceci della madre,
il poco vino, la cruda cipolla
che mi strizza la lacrima,
i lupini, il caffè,
i vetri gialli, più oltre le viole,
le arance appese,
l’azzurro tra il fogliame di quei frutti d’oro,

l’Angelo (non mia invenzione)

che sorride alla mia stoltezza
e prega per me e per mio padre morto
e mi ricaccia in una
povertà di sogno.

Prima che venga l’uomo – 1982

C’è qualcosa che mi turba se devo essere io a parlare.
Ed è tutto questo grande silenzio che mi s’è fatto intorno.
Pure, vi parlo, perché siete tremendamente soli
(dunque, per voi, una gran felicità. Che mi dovete comunicare).
E voi siete le stelle, e voi siete i fiori
e voi siete gli alberi e voi siete le nuvole
e voi siete il mare e la spiga e la rosa
(anche quella dei venti). Tutto si compie.

E voi siete tutti i morti della terra
con le stesse grandi parole di silenzio che dicevo prima,
ma che ammiccano forte.

E voi siete i giardini e le maree
e i limoneti chiari
e gli angioli barocchi della morta città
e i gelsomini di pena
e le cariatidi e i voli
e la pianura lenta

prima che venga l’uomo
prima che venga l’uomo,

prima che venga
demente, fornicante,
con la sua scienza senza carità,
col suo feticcio della storia.


Visita alla casa di Giulio CesareVanin - 1981

O sacro uomo!
F. Hölderin

Ho fiancheggiato le terre salentine,
dall’altro lato un tempesta
di fiori di tabacco.

Ho attraversato paesi
nell’umidore d’uno scirocco fiaccante.

Sono arrivato a Taurisano
nell’ ora della messa vespertina.

Nella tua casa fanno il nido le rondini.
Com’è lontana Tolosa
E il buio secolo.

Ma che aria di sonno
Nella tua patria di cenere,
o Vanini!


O voi che venite dopo -1981

Quando sarò pietra,
muschio e pietra,
forse rosa,
e comunque il candido ossame di questa terra mia,
io che già sono una creatura della notte,
delle stelle e del mare,
naturali moralità dinnanzi alle quali
il mio umano destino si ferisce,
o voi che venite dopo, sappiate

che non sono stato invano,
che ho amato e sofferto anche per voi
e che solo le illusorie apparenze
mi dicono morto.