...Noè noi vi sappiamo che siete un uomo famoso














Vischio Spaziale

(Reportage del free dancer Orodè Deoro alla casa-museo di Ezechiele Leandro)

Figure dei pinocchietti. Luride figure degli invidiosi pinocchietti. Di repellenti uccelletti che non si sa se prenderanno mai il volo - ma se succederà, saranno uccelletti della morte…Sembra un carnevale! Tutti sono truccati da mostri, tra coriandoli e nastrini. Le mappe dei disegni - vere e proprie mappe del tesoro: passate da qui, dici, dalla groppa di questo scarabocchio con quattro lunghe zampette. Pezzettino che dipingerò di giallo. E disegnare tanti cerchietti fermerà la chioma della madonna? E disegnare tutte queste palline ci farà giocare a bocce, in questo deserto? Vai Leandro, cavalca il maiale, cavalca il porco. Verme zanzaro solleva le mani storte, alza le braccia di spaventapasseri. Andiamo avanti! Anche se per farmi piangere rimani! Questo sarà un sole celeste! Questa sarà un’aurora rossa! Questo sarà un continente pieno di vermi, di vescichette.

E le vescichette continuano, incontrano pianeti a cui non danno mai la luce - la rubano anzi così come ne bevono tutta l’acqua. Questo sarà un profondo toccare di baci la mano onesta. E gli altri festanti si affacciano oltre la cinta per buttarci rifiuti, sputi. Queste creature hanno la testa che non sarà mai una testa, ma una gabbietta con l’uccelletto morto o di gomma pane.

“… vai a fare un po di te per me e per te la ragazza andò fece il te e ritornò li disse insieme pronto il te bene mettiti a sedere di fronte a me e prendi e bevi insieme a me e poi una risata insieme a me…”
(Leandro)

Oh! Sì! Leandro! Col cazzo che sei pazzo! Gli insetti li dobbiamo schiacciare per forza. E li dobbiamo disegnare così come sono, con le zampettine schifose. Togliamo le virgole e i punti. Sassolino sopra sassolino ti ci sono voluti venti anni. Resiste ancora all’attacco del tempo e dell’ignoranza ma nessuno scaverà un giorno per trovare il tuo tesoro. Perché il tuo tesoro è all’aperto. Il Santuario della Pazienza sta crollando. Le tue creature di pietre e cemento vanno giù! Gli spiritelli che si affacciavano dal muro che hai fatto alzare, “i porci” che volevano che tu buttassi giù tutta l’opera sono ancora vivi. Sono Carne di porco, sì! Nonostante il tuo Santuario dedicato a Maria fatto di spazzatura. Che creatura sublime! Altro che oro e marmi: “traspormazione”. Il povero rottame, che non vendevi a nessuno, portato in braccio, sulla bicicletta, diventava trombetta, diventava corona della regina. Tutta questa folla che aspetta di essere ritratta prima che questo viaggio finisca. Tutta questa parata di maschere bisogna proprio ritrarla. Abbiamo in comune questa passione!

“la banda suona e la gente guarda ma che sente? Il rimbolso nelle orecchie ma nello spazio? Si perde a te cosa rimane? Il pensiero della melodia”
(Leandro)

Già!
“Per fare il mosaico metti pietra avanti pietra invece io o pensato di mettere pietra su pietra” (Leandro)

Anche questo è vero… Sono trascorsi tre anni. Niente macchina fotografica quel giorno. Era di domenica. Mi allontanai dalla casa-museo di Vincent Brunetti per prendere aria. Ci vivevo da un anno - da tre mesi buoni non uscivo nemmeno per la spesa. Furono dei mesi tutti dedicati all’arte e alla decorazione di Vincent City. Ripercorsi la storia del mosaico senza alcun maestro. La stampai col solo aiuto delle tenaglie. Senza il ringraziamento di nessuno. Nemmeno dello zoppo Vincent. Geloso, arraffone, creatore di Vincent City, al quale dedicherò un libro di 2000 pagine. Presi la sua sgangherata y10 e volai fuori dall’eremo. Le sue dannate parole furono:
“Ma che vai a fare fuori? Fuori non è sicuro! Qui sì… che sei al sicuro! Te lo garantisco! Fuori non garantisco più!”
Doors a palla. A spiarlo con la coda dell’occhio. Polverone…

“…Noè noi vi sappiamo che siete un uomo famoso vediamo tutto ma questo Dio dov’è? Sono tutte parole sprecate parlate d’altro non parlate di quello che non si vede e non conosciamo noi possiamo dire a un altro punto della terra c’è una casa meravigliosa è un fenomeno come si può dire se prima non l’abbiamo vista possiamo dire sulle stelle esistono perle se non ci siamo stati (?) perciò questo che tu dici è tutto inutile ci dobbiamo privare delle nostre opere belle e cattive e nessuno ci dice nulla credendo che c’è Dio ci potrà dire questo è bene e questo e male stiamo così bene quello che si fa rimane tra di noi…”
(Leandro)

Sembra che l’arte sia questione per dotti. Questo solo perché mentre l’artista fa-crea la massa non può che sciacquarsi la bocca - tra un lavoro e un altro - e sputare veleno: poca roba! Sono passati tre anni, come dicevo, ed ora è necessario dare dei numeri… per intendere l’incredibile storia di Ezechiele Leandro.

Nato a Lequile (Le) nel 1905, fu trovato in una cesta da una donna di nome Adamo Crocefissa. Il nome gli viene imposto dall’anagrafe e viene affidato ad una coppia di contadini. Frequenta alcune delle classi elementari e fa il pastore. Il cementista. A 26 anni comincia la sua prima opera, “La montagna forata”, una scultura di 153 kg che fa spedire a Mussolini - il quale gli risponde curioso delle sue “inspirazioni” e gli manda 80 lire. Si sposa e si trasferisce a San Cesario. Fa il minatore in Africa dove apprende dagli indigeni la tecnica di produrre i colori con terre e materie naturali. Fa il minatore in Germania. È chiamato alle armi. Fa il rottamaio ed apre un’officina di riparazione e vendita di biciclette. A 50 anni espone il gruppo scultoreo “La banda di Pinocchio” nella piazza di San Cesario. Comincia a dipingere a 52 anni. Comincia a realizzare mostre e a ricevere premi. A 57 anni comincia la costruzione del “Santuario della pazienza”, che lo impegnerà per quasi il resto della vita. Appare per la prima volta alla tv italiana e compare un primo articolo su di lui in una testata locale. A 61 anni riceve la benedizione di papa Paolo VI che vede nella sua opera “l’affermazione della fede”. Pare che abbia rapporti epistolari con Picasso ed altre personalità dell’epoca ma le lettere sono state trafugate dal museo. Muore la moglie ed entra in crisi e deve occuparsi di un figlio affetto da sindrome di down. Realizza in questi ultimi 20 anni oltre 90 esposizioni in Italia e all’estero. Vince premi e riceve molti riconoscimenti. Tuttavia i compaesani - che non gradiscono i suoi “mostri, pupi”- fanno petizione per demolire la sua casa-museo. Leandro reagisce scrivendo lettere denuncia e affiggendo un Manifesto alla Cittadinanza. A 72 anni scrive il suo primo libro: “La creazione degli angeli ed il peccato di Adamo e di Eva”, nella prima pagina si legge: “Nota al lettore: per espresso desiderio dell’Autore non sono state apportate le dovute correzioni”. Nei due anni successivi pubblica altri due libri: “Pensieri e cunti” e “Sentite questo”. Nel 1979 è invitato da Cesare Zavattini alla rassegna “Naifs”. Nel 1980 è nominato “Accademico d’onore a vita” per “Sentite questo” dall’Accademia Internazionale di Lettere Arti e Scienze di Bologna. Muore il 17 Febbraio 1981, in seguito ad un ictus cerebrale, alla vigilia di una grande mostra a San Cesario.

Considerando l’ignoranza, la strafottenza e l’incuria della terra e del comune dove Leandro è vissuto, presto della sua opera non resterà nulla - in quanto le opere sono costantemente trafugate. Il Santuario della pazienza è sepolto dall’erba e non regge da solo all’assalto del tempo. Ed ora c’è da registrare l’ultima notizia, uscita sul Corriere del Mezzogiorno il 15 Settembre 2006:

“SAN CESARIO: DANNEGGIATA LA CASA-MUSEO DI LEANDRO. DETURPATA LA FACCIATA DEL BENE.” Sarebbe da ricopiare l’intera pagina del quotidiano perché è più letteratura che cronaca. Riporto solo questi due passaggi:

“La decorazione artistica che corre lungo il perimetro esterno della ca­sa-museo di Ezechiele Lean­dro a San Cesario di Lecce, fatta con i materiali (cemen­to a presa rapida e materiale di risulta, uniti ai colori e a tanta creatività) più utilizza­ti dal pittore e scultore sa­lentino, è stata deturpata nei giorni scorsi, anche se la notizia è stata resa nota da uno degli eredi solo ieri: al­meno una ventina di metri della decorazione esterna che corre lungo la facciata della casa esposta su via Ter­ragno (la facciata principale è su via Cerundolo) è stata letteralmente staccata dal muro esterno della casa, sud­divisa fra gli eredi alla morte di Leandro avvenuta nel 1981.”

LA DENUNCIA - E, a quan­to pare, in maniera anche violenta, come spiega Anto­nio Benegiamo, 47 anni, ni­pote materno di Ezechiele Leandro: «Sono stato avvisa­to dell'accaduto giovedì scorso, da alcuni vicini, che hanno notato due operai in­tenti a sbriciolare, a colpi di martello pneumatico una parte dei pannelli in pietra che mio nonno ha realizzato lungo la facciata esterna del­la casa. Purtroppo, quando sono giunto sul luogo, l'ope­ra di distruzione era già avve­nuta». I pannelli in questio­ne si trovano sulla facciata laterale della casa, che è sta­ta ereditata da due cugini di Antonio Benegiamo, Anna­maria e Claudio Bruno, an­che loro nipoti di Leandro. Ma proprio le dichiarazioni di quest'ultimo, abitante nel­la casa che ha subito la deturpazione, non contribuiscono di certo a chiarire la vicenda: «Io non ne so niente, e non ho alcuna intenzione di commentare alcunché- dice Claudio Bruno- Per me si trattava solo di pezzi di pietra e scarabocchi».”


“…gli scarti che l’umanità butta, io li prendo, li bacio e costruisco”

(Leandro)


Caro Leandro, la fantasia del popolo in cui siamo nati è molto vicina alla cicoria e al belare delle pecore. Parlano di miracoli ma non ci credono più! Danno per scontato il potere riconosciuto, facendosi battere, mangiare e tosare con magnifica accettazione. Andare a parlare di arte a gente del genere è solo una perdita di tempo: è preferibile assaggiare il loro vino e dire ch’è buono, che non ce n’è di migliori. E poi fuggir il più lontano possibile e fare arte. Fare arte e tenersela per sé!

La loro pietà è in una carogna, una di quelle bestie che aspetta finché non c’è più forma di vita ma solo carne morta. Tuttavia in branco attaccano- ma mai il vero nemico piuttosto il diverso, l’originale, il giusto. Gli ingranaggi di creta, di terra dura o pietra leccese non si dissolvono ma vivono intorno a noi. Diventano bestie assassine se il colore della casa del vicino non è un anonimo bianco. Tutta la loro pace diventa attesa della liberazione per l’onta. Anziché pensare a non farsi sfruttare, a non farsi rubare il tempo, anziché affrancarsi e mandare a cacare il destino e la storia, giacciono inermi sul posto di lavoro e aspettano- come cecchini- che l’artista crepi- perché si rovinano la salute a guardarlo. Coloro che hanno accettato il loro destino di bestie da soma aspettano la morte dell’uomo libero! Se l’aver creato la tua casa-museo su questo pianeta era inevitabile altrettanto inevitabili furono le conseguenze. M’immagino i contadini di San Cesario affacciarsi e spiare nella tua proprietà per inorridire alla vista dei “pupi, mostri”. Ma io- come te - inorridisco alla vista della loro inutile vita lavorativa. Certo, se era inevitabile la reazione dei contadini e degli operai un po’ meno era quello della classe dirigente e dei critici. Ma il sindaco e gli assessori dei nostri piccoli comuni sono ignoranza pura- non c’è luce in alto e non ce n’è quaggiù! Accettano inginocchiandosi il qualsiasi idiota arrivato al successo e non perdonano in alcun modo lo spirito puro. Questo vale per il mondo contadino, per la classe operaia, per la classe dirigente e per le scuole, indifferentemente! Tuttavia uno spirito libero non può mettersi a lavorare per far contenta l’intera massa d’incatramati. Così come l’intera massa d’incatramati non sarà in pace con sé stessa finché gli uomini liberi- i migliori- non crepano. E allora è guerriglia! Tu continui a scrivere la storia di un amore tra una principessa e un uomo del popolo. Amore che non può essere coronato se non dopo che l’uomo, per accedere alla mano della principessa Maria, abbia superato una prova straordinaria consistente nella creazione di “estrana” carrozza, la carrozza per l’accesso verso il cielo.

Ti hanno cucinato ben bene Leandro. Ti hanno bollato come contadino e analfabeta e così t’han fatto morire. Altro che carrozza, altro che “traspormazione”. L’arte dalle nostre parti toglie braccia e tempo all’agricoltura, non fanno che ripetercelo. Non c’è tempo né modo di farla franca!

Da parte mia, vedo in te il miracolo dell’arte e mi riconosco tuo simile. Il Santuario della Pazienza, già dal nome, è un’opera unica. Opera di un uomo che, nato in un deserto culturale, a differenza dei suoi paesani, cerca e vuole il riscatto. E si dispone, pietra su pietra, avanzo dopo avanzo, ritrovamento dopo ritrovamento, alla creazione. Di cosa? Del tuo Eden? Del mondo come lo vedi tu? Tutti questi mostriciattoli stanno morendo! Tutti ben disposti e colorati da cocci, stanno morendo. Tutta la tua tecnica di scultore cementista sta andando a pezzi. Io t’ho studiato e so l’amore che ci voleva per far reggere tutto l’ambaradan di tubi, pietre, scarti d’ogni tipo, alla base delle tue statue di cemento. E ho riso fino alle lacrime alla vista delle migliaia di noci di cemento fresco con cui modellavi le tue creature. Ma la gente è carogna e all’apparenza ci tiene. Il ritratto non deve essere mai fedele, caro Leandro, alla gente non interessa la verità. La gente, per quanto brutta, necessita l’estetica. Vedi l’esercito di Xi’an, i famosi soldati di terracotta del Primo imperatore cinese, un’armata composta di guerrieri, cavalli, carri da combattimento, a grandezza naturale. Sono stati ritrovati nei pressi del mausoleo di Lintong a Xi’an e ora ne hanno fatto una mostra a Roma, con tanto di allestimento curato dal regista Luca Ronconi. I tuoi pupi invece non li vuole nessuno e vanno giù. Conviene salvare l’indirizzo del sito creato da tuo nipote - www.museoleandro.it - perché presto tutto apparterrà al ricordo. È negativo un popolo che non ha cultura e che crede di averne! È assassino! È falso un popolo che non apre gli occhi all’evidenza e non accetta ciò che si da, colui che si da. Come ci si comporta davanti alla tua creazione, Leandro?

Non comprendendo la tua irruenza e le tue necessità il popolo non capisce nemmeno che la tua opera si rivolge a Maria e che è piena di riferimenti ai testi sacri e alla divina commedia. La pia gente del popolo non fa caso al fatto che proprio i frati erano tuoi grandi amici. Tutto il Santuario della Pazienza è strutturato come in cantiche.


“…io ho costruito su la vita di cristo ficure della apocalisse come Giuseppe venduto dai fratelli patre giacobe Giuditta con oloferne sanzone la divina commedia altre ficure sono centinaia e miliaia di ogni specia e di vari colori esiste la sofferenza e la lecria la pazienza la prechiera e tutta la morte passi(o)ne di gesu con i popolo e i sommi sagerdoti esistono tutti al primo uomo fino a lultimo luomo e la luna luomo e le stelle luomo e il sole la fine dell’uomo e di tutta la terra a dove esce cristo come l’uomo la prescritto le fatice fatte tutto a scoltura uomi regolari con grande gorgota a dove cee la scena più grande e la più dolorosa a dove raccoglie tutta la tragedia in quel giorno triste che fù condannato cristo a dove viene flagellato e caccia(to) fuori alla logia a dove ce le pie donne le cadute e la tomba cee tutto la nascita il pozzo con la samaritana il pozzo del bene e del male a dove il popolo va attingere acqua a dove cee la schiavitù di un tempo l’invidia che uccite il serpente che inganna…”

(Leandro)


Le sculture aspettano e vegliano.

Ieri sera in un autobus di Roma c’era un pazzo che ti assomigliava, Leandro. Ripeteva all’infinito: “Ti fa male! Se mi guardi male, ti fai male tu! Sei tu che ti avveleni il sangue! Sei tu che ti fai male! E muori! Sei tu che muori! Non io! Tu!”.

Le sculture aspettano e vegliano! Il corteo di questa società. La nostra storia. Viste dall’alto le tue sculture sembrano una folla festante in una piazza. Con un sottovaso rotto come cappello alcune signore. Piene di porri e di pus di cemento. Eleganti nasoni con ciondoli e bottoni al posto degli occhi. La bocca aperta. Noce su noce di cemento schiacciate da sassi, da sassolini e da cocci per abbellire le noci di cemento. Che imperatori, che regine, che ladri potenti. Che massa festante! Che via crucis!

Perso nel Santuario della Pazienza, aspettai che facesse notte e arrivasse la luna quel giorno. Affinché tutto avesse un altro colore e un altro senso. Restai lì a tremare di freddo, aspettando il verdetto. Le tue creature si lamentavano e cominciarono a muoversi. Mi avrebbero buttato in uno dei pozzi barocchi fatti di sassi, cemento e cocci. Per cercare l’acqua immagino, tra le cosce di Mirò, di Baj, di Picasso e degli altri artisti famosi. A chiedere, proprio a me, perché tutta questa strafottenza nei loro confronti. Ed io a rispondere, quando mi tenevano per una gamba, sull’orlo di un pozzo:

“Io imparo l’arte e la metto da parte, Leandro… che non è cosa per i porci… l’arte! Non è cosa per i porci!”

Solo così mi salvai quella notte e tutte le statue a ridere e a festeggiare perché le avevo capite ed ero come loro. E non ci fu più orrore quella notte… così come avevo sperato ma sano amore: A M O R E. E la tua comunità, il tuo mondo presero vita. Nonostante le erbacce. E mi lasciarono salire sul terrazzo, tra le terribili vedette, per declamare. Un discorso breve, senza mimare alcun grande fabulatore. Per non sfruttare alcuna deficienza di massa. Non ricorsi ad alcun simbolo. Non feci leva su alcun sentimento. Dissi soltanto: con la voce ma… immobile, mani dietro la schiena, penzolante sul tetto:

“A tutti voi che siete nati per essere va il mio abbraccio più grande! La storia fa il suo corso e noi dobbiamo essere quello per cui siamo nati! La stragrande maggioranza della gente se ne fotte e non capirà nemmeno le nostre facce!”

“Sì!” Cominciarono a gridare tutti “i pupi, i mostri”, i vari Giano bifronti. “Sì! Sì!”, gridava quello col trombone ricoperto di erbacce.

“E noi, umana umanità- lasciatemi finire- siamo travolti dall’ignoranza. Ci vorrebbero conquistati e annichiliti, quei lombrichi là fuori, ma per questa vita non se ne parla, vero? Per questa vita non ce la fanno! Noi siamo così lontani… e la povertà ci fa persino più belli! Tutte le chiacchiere della storia- che ha lobotomizzato quelli là fuori- noi le cachiamo e ci puliamo coi grappoli!”

Solo allora, tu, Leandro, saltasti fuori cavalcando un porco di sassi e cemento e cominciasti a correre ed io mi divincolai, salutai quella folla festante, il tuo popolo in festa.

“e l’invidia che a macinato lolzo e pretente grano già questa e linvidia quanto e fina che non si scopre ne anche ai ragi a lora come bisogna fare per conoscerla una spina alla lingua e un’altra nel cervello cosi la lingua non può parlare e il cervello non può pensare se di bene o di male perciò l’invidia è la peggiore malattia che possiede l’uomo su la terra dopo il tramonto ci pensa dio”
(Leandro)

Bibliografia:

L’Opera di Leandro- tre approcci alla sua conoscenza. Edizioni “Il Raggio Verde”, Lecce, 2000.

Corriere del Mezzogiorno, 15 Settembre 2006