Enzo il partigiano











Enzo Sozzo è conosciuto non solo come un artista che ha saputo interpretare il tempo e i colori della sua città, ma anche perché è stato un soggetto attivo nelle vicende di Lecce per quasi un cinquantennio, dalla caduta del fascismo fino al 1993, anno della sua morte


Enzo, il partigiano

Maurizio Nocera


Nell’occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia e del 66° anniversario della Liberazione dell’Italia del nazifascismo, un’importante retrospettiva dedicata al pittore leccese Enzo Sozzo si è tenuta nella sala della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Lecce.

Enzo Sozzo è conosciuto non solo come un artista che ha saputo interpretare il tempo e i colori della sua città, ma anche perché è stato un soggetto attivo nelle vicende di Lecce per quasi un cinquantennio, dalla caduta del fascismo fino al 1993, anno della sua morte.


Di lui, Arrigo Boldrini

È stato per più di 40 anni presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, associazione che aveva fondato e organizzato a partire da subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e sono molti gli aneddoti positivi che si leggono di lui. A proposito della mostra, è stato pubblicato un pieghevole con gli interventi di Arrigo Boldrini, il leggendario comandante partigiano Bulow che, con la sua brigata liberò Ravenna dai nazifascisti, nel quale leggiamo: «Dell’arte, dei riconoscimenti ad Enzo Sozzo, uno degli artisti più rappresentativi della “generazione di mezzo”, rappresentante davvero a pieno titolo della sua terra leccese con le sue carrozze, le cattedrali, cento e cento disegni, che hanno assunto una specifica universalità artistica, mi si permetta di aggiungere civile e morale, ogni commento può sembrare di maniera o dettato da un senso profondo dell’amicizia scritta con l’A maiuscola./ Ma come non considerare che la linea politica, nel senso più alto dell’indirizzo e della ricerca artistica, nasce da una sua storia sofferta e vissuta con quella sua terra, con il folclore che ha radici lontane e rappresenta la sintesi di esperienze di generazioni diverse./ Un pittore poeta, appunto, che riporta alla luce quel sottofondo paesano e sommerso che rappresenta le radici di una civiltà contadina, che non sempre trova spazio nei grandi trattati di storia, ma alle volte con qualche fugace cenno più aneddotico che marginale con tratti spiccati e vivaci».


Di lui, Ennio Bonea

Da parte sua, il mai dimenticato prof. Ennio Bonea ha lasciato scritto: «Con un Luca Giordano in sedicesimo, il famoso “Luca fa presto”, Enzo Sozzo ha prodotto centinaia di quadri che hanno sparso in tutto il mondo (non esagero usando questa espressione, i suoi quadri sono in Europa, in America, in Australia, perché hanno la seduzione della piacevolezza, sono di facile lettura) la sua pittura e, con essa, le immagini di una Lecce barocca che Sozzo interpreta con sensibilità anch’essa barocca, tipica del salentino, sia esso pittore o poeta, che avverte e riproduce il “bello”, in senso artistico, col fine marinista del “piacere”. Esso rende gradevoli, e fissa nella “memoria”, anche quelle brutte, nere, sgangherate carrozze di piazza coi loro macilenti cavalli, che negli occhi dei salentini e dei “forestieri”, incidono un indimenticabile stigma di Lecce».


Di lui, Toti Carpentieri

Il più noto critico d’arte leccese, Toti Carpentieri, ha scritto: «Enzo Sozzo è un pittore profondamente tradizionale, intendendo questo aggettivo in un doppio riferimento, e cioè sia ispirativo che tecnologico; la sua infatti è una pittura che si vede due volte, una come partecipazione estetica ad un mondo che è comune a tutti, l’altra come emotiva intrinseca che ha reso necessaria ed ovvia la nascita del quadro. Le sue opere sono pezzi di Puglia, episodi di una vita che incontriamo ogni giorno, inviti ad una considerazione più profonda di uno stato attuale, e questi ulivi contorti di Puglia, questa case dal bianco abbagliante, questi ricami preziosi degli artigiani nella morbida pietra, questo mare così profondamente azzurro, sono resi con una sapiente partecipazione interiore e con una profonda sensibilità, il tutto nella volontà determinata di instaurare una reale comunicatività lirica non solo tra l’uomo e la sua terra, ma tra l’uomo e l’uomo».


Di lui, don Franco Lupo

Altro noto personaggio di Lecce, don Franco Lupo, un prete poeta amico intimo dell’artista, ha scritto: «Soffermarsi innanzi alle marine di Enzo Sozzo significa entrare in un mondo realissimo come è quello del pittore leccese./ Enzo ama la chiarezza, la luminosità, l’ampiezza di un cielo infinito ed il suo pennello diventa come la penna di un musicista che sulle righe del pentagramma traccia le note di melodie che si perdono nel mistero./ La lucentezza dei colori esprime l’apertura genesiaca dell’animo dell’artista che sa cantare il creato con la stessa forza del grande poeta Francesco d’Assisi».


Di lui, Mario Marti

E Mario Marti, vate e maestro di infinite schiere di professionisti, letterati, produttori culturali, docenti, ecc., ha scritto: «Come pittore, non credo di avere preparazione tecnica e competenza tali da poter adeguatamente formulare un giudizio rispettabile. Posso dire che mi piace certa solitudine assorta che egli riesce a comunicare nei momenti migliori; certi spazi costruiti e silenziosi; il legame sensibile che unisce l’occhio alla “cosa”, appena tremolante d’emozione cordiale; l’autentica aria “salentina”, e certe volte addirittura “leccese”, che circola fedelmente negli esterni./ Come uomo e come pittore, Enzo Sozzo è un personaggio; e la sua “presenza” si prolungherà certamente per molti anni nella vita e nella cultura di Lecce e del Salento».


Di lui, Enzo Panareo

Da parte sua, il buon Enzo Panareo, figura indimenticabile di intellettuale organico alla città barocca e per decenni vice direttore della Biblioteca provinciale “N. Bernardini” di Lecce, ha scritto: «La pittura di Enzo Sozzo ha sconfitto il tempo: questa entità astratta apparentemente, ma pur tanto perentoriamente presente e concreta nella vita quotidiana… è diventata sulla tela di Enzo Sozzo una chiave per penetrare nel mistero delle cose. Il barocco leccese vive oggi sulla tela così come quattro secoli or sono scaturiva sotto forma di intuizione architettonica e di gusto di un particolare fantastico dalle esigenze estetiche dei maestri costruttori compiaciuti, ad opera finita, di quello svariare di angeli e di demoni che giuocavano a rimpiattino con il sole avendo per sfondo il cielo più terso del mondo».


Di lui, Giacinto Urso

L’on. Giacinto Urso, altra figura istituzionale della città e della provincia, che incarni i valori della libertà, della democrazia e della difesa dell’ordine costituzionale, ha scritto: «Il pennello di Enzo Sozzo ricerca, con pazienza e ostinazione, le cose perdute della città o meglio le cose che vorrebbe vedere ancora vive, pulsanti e presenti./ Ma non è un passatista, quasi immobile, perché le sue carrozzelle dissimili e sempre le stesse, le trasporta di volta in volta lungo le vie, viuzze, le mura, le chiese di Lecce scorrendo così un presente, che invoca valorizzazione e restauro.../ Insomma Enzo Sozzo mentre cammina sulle vie antiche si apre, con la sua arte, tutti i vicoli del nuovo che si riallaccia all’antico».


Di lui, Donato Valli

E ancora il prof. Donato Valli, per decenni rettore e ordinario dell’Università salentina, ha scritto: «Dov’è il realismo di Enzo Sozzo? Esso è sommerso, placato dall’onda d’un sentimento che si fa poesia, ne rimangono sulla tela i relitti, come succede di un grande naufragio di cui si è salvata la memoria incandescente e magmatica al pari di un sole intramontabile./ Anche le case sono intorno tutte mute, senza vita apparente, trattenute in una forza implosiva alla quale la colata di colore delle pareti abbozzate oppone un argine spietato. Di quella vita inespressiva affiorano da balconi barocchi, raggrumati in colore materico, testimonianze di petali accesi, forse gerani spuntati da una perenne primavera. Quell’improvvisa fiammata increspa con la sua inattesa presenza la limpidezza serena della superficie. Lì il barocco trova la sua correlazione in un sussulto d’anima, una passione sottintesa, che non è paura ma gioia di vita».


Visioni di barocco...

Si tratta di testimonianze sincere, autentiche, spontanee, che rendono giustizia all’arte di un uomo che ha dedicato l’intera vita a quanto di più amava, il pennello e la tavolozza. Tanto che viene spontaneo riflettere sull’oggi. E così ti viene da pensare che chi, come turista dei nostri tempi, arriva a Lecce la Barocca, non può non ammirare le facciate delle chiese, le corti, le balconate infiorettate di rossi gerani, le inferriate attorcigliate, i portoni sei-settecenteschi sormontati dagli antichi mascheroni o dagli stemmi consumati di nobili casate, e ancora le sbiadite edicole dei santi e i fiori incastrati nel dolce carparo, o i resti delle antichità messapiche, greche e romane, o le severe sculture bronzee dei nostri patrioti risorgimentali. Il turista, attento e intelligente, sa bene che si tratta d’immagini straordinarie, per questo le fissa sulla sua pellicola come ricordo incancellabile. Non tutto però egli può fissare, ad esempio la Lecce di un tempo, quella animata dalla gente dai lunghi pastrani e quella dai fanali a olio lampante o a petrolio, che rischiaravano di fioca luce gli angoli delle strade, quella Lecce attraversata giorno e notte da carrozze e carrozzelle trainate da cavalli anch'essi miti e gran lavoranti. Credo che ciò non sia più possibile neanche agli stessi leccesi, soprattutto quelli delle nuove generazioni, anche a loro impossibile rintracciare, sia pure mentalmente, la città di un tempo ormai definitivamente perduto. I visitatori hanno una sola possibilità: se, nel loro girovagare, hanno la fortuna di passare da via Antonello Coniger, e trovare aperta la porta contrassegnata dal numero uno, ed entrare nella “studio-bottega” di quel vecchio leone leccese che è Enzo Sozzo, troveranno tutta quella Lecce che oggi non esiste più. Da Enzo, infatti, troveranno impresse sulle tele, sui cartoni, sui pezzi squadrati di faesite, sugli stessi muri colorati dal pittore non solo la Lecce che tutti ancora possiamo vedere, ma anche quel pezzo della città che la storia, ormai, e pure le vicissitudini naturali hanno cancellato inesorabilmente. Per il loro rollino fotografico essi troveranno impresse le antiche luminarie, le carrozzelle coi cavalli cavezzati, e poi tutto lo splendore artistico del tesoro del barocco.

La mostra, inaugurata l’11 aprile, sie è chiusa mercoledì 20.