“Le ragioni della passione” di Antonio Errico per Kurumuny


Di un'avventura

Francesco Aprile


"Sono solo vittima del mio piacere". Recita così, ad un certo punto, la voce di Davide Toffolo (fumettista, cantante/chitarrista, artista visuale) in una strofa di "In amore con tutti" pezzo contenuto nel penultimo album in studio dei Tre allegri ragazzi morti.

Non so se la band di Pordenone sia il termine di paragone adatto, forse non lo è. Ma è la citazione. La frase che Toffolo urla a ricollegarmi come un déjà vu all'ultimo libro di Antonio Errico, Le ragioni della passione, edito da Kurumuny. Perché è così.

Antonio Errico è vittima del suo piacere. La scrittura. E da questo piacere si genera il verso, dalla fragranza poetica, l'incedere leggero formalizzato nello scrivere prosaico, nella forma del saggio, ma dalla potenza di una poesia, l'esplosione di tutta una serie di profumi e sapori che solo nel verso e nella sua audacia, nel suo non spegnersi mai nel feroce sopire del tempo, trovano la via esplicita all'estrinsecazione di un potenziale semantico - che è proprio della vita e delle parole/vita nel ritmo danzante. La poesia. Ed il suo svolgersi in forme diverse.

Il saggio di Antonio Errico è, proprio come canta Toffolo nel brano prima citato, "adatto al tempo che cambia". L'esuberanza della scrittura che sa farsi, manifestarsi, come armonia di sabbia nel turbinio del vento, come onda che non si infrange mai. Un gioco di parole. Un'avventura, come arrampicarsi, tendendo braccia e gambe fra le pareti di due montagne. Il pensiero adiacente al cuore. Un discorrere che è un fluire di parole, misto di sangue - cuore - e variabili aleatorie - pensiero. La passione e le sue ragioni, viceversa, la ragione e le sue passioni, attraverso il dialogo con l'altro e la passione per il suo insegnamento. È l'altro il motivo principale di questa passione. L'altro preposto all'apprendimento. In apertura. Un clown, leitmotiv delle prime pagine. La passione sulle corde della follia, ricordando Dino Campana ed i Canti Orfici. La strettoia da imboccare per tendere la mano e sollecitare l'altro, nell'adiacenza fra cuore e pensiero.

«Solo il cuore segreto sopravvive. Il Clown sa che bisogna superare la prova esistenziale... sfondare i confini, scardinare le categorie, trasgredire quando e quanto è necessario, abolire ogni differenza... il cuore segreto che sopravvive è il cuore della creatività».

Il clown che supera tutto ciò è l'insegnante, maestro, professore, docente, che scardina la convenzione, nelle coincidenze della ragione e della passione per essa e, viceversa, riuscire ad accedere alla fiducia dell'altro, in uno scambio reciproco.

Poi, esiste il tempo della memoria. Diceva Hume che quando vediamo un oggetto abbiamo - nella nostra mente - la sua immagine. L'impressione. Allo stesso modo, allontanandoci dall'oggetto, riusciremo a conservarne l'immagine, meno precisa, sfocata, ne avremo, così, l'idea. Il ricordo. Questo è ciò che fa, poi, Antonio Errico nelle pagine del suo libro. Si fa carico e carica l'azione dell'insegnamento di nuove attribuzioni, come fosse una rideterminazione semantica del termine, affidando all'azione in sé il compito del curare una memoria nello studente, coltivare la cultura della memoria, di un sapere inserito in un contesto ed in relazione ad altri contesti, che fugge dal concetto di memoria come elenco «non si può insegnare una memoria che dice di sé come una sorta di vuota autocitazione», ma che trova le sue fondamenta in un sapere che sappia affondare nelle proprie radici, perché il nostro sapere personale è frutto di un sapere passato globale ed andrà ad influire, attraverso la formazione di un nuovo sapere globale - in linea coi tempi di una realtà in cui la conoscenza è senza spazio e tempo, che si muove alla velocità di un click verso un sentire globalizzato - sul sapere personale di altre persone in un futuro più o meno vicino. Perché l'uomo «esiste e conosce fin quando può avere memoria». Nel momento in cui finiscono la conoscenza e la memoria personali «si entra negli spazi e nei tempi della storia». Nel continuo di tutta una serie di conoscenze innate «così, la bellezza è già conoscenza che ci appartiene», e nel flusso dell'esperienza come mezzo per fondare le nostre personali conoscenze. Nell'incontro con l'altro.