Fuga dalla notte di Giovanni Bernardini

Antonio Errico

Poi bisogna avere anche buona fortuna per ritrovarsi nella propria vita una compagna come quella che ha Giovanni Bernardini. Che non tradisce mai, e non abbandona, che ti resta accanto in tutte le stagioni: quando è primavera, quando è autunno, quando esplode l’estate o l’inverno gela. Che si sacrifica e ti chiede sacrificio, che ti dà felicità ed è felice, che si concede a te in modo assoluto, che pretende da te una fedeltà infinita. Una compagna tenera, sincera, che giorno per giorno diventa lo specchio della vita, la tua consolazione, il tuo rimpianto, la memoria, la dimenticanza, il desiderio, che a volte ti fa rabbia, a volte tenerezza, che ti dà l’ebbrezza e ti dà il dolore, ti seduce e ti entra nelle vene, e non ha paura del tempo che trascorre, perché più il tempo passa e più cresce l’amore, diventa una cosa sola con le storie che vivi, che hai vissuto. Giovanni Bernardini ha questa fortuna di avere una compagna senza età, che ti fa sentire vecchio quando hai una gioventù che arde e ti restituisce la fantasia di un’ emozione quando hai la convinzione che il cuore sia svuotato. Talvolta si domanda a uno scrittore quand’è che ha cominciato a impastare le parole. Se lo chiedessimo a Giovanni Bernardini, probabilmente sprofonderebbe negli anni dell’infanzia. Perché la scrittura gli è compagna antica. Sempre bella, però. Fascinosa. Essenziale. Come una donna che conosce il suo uomo fino al più indecifrabile degli umori, che sa dirgli tutto anche senza parlare, con uno sguardo rapido, profondo. Che sa donargli tutto anche nell’assenza. Così è la scrittura di Giovanni Bernardini: rapida e profonda, come lo sguardo di un’amante straordinaria; consapevole e complice, maliosa, intrigante, sincera, appassionata. Come un’amante severa e delicata. Così è la scrittura dei sei racconti che escono ora dall’editore Manni con il titolo di “Fuga dalla notte” e una prefazione di Giovanni Invitto che rivela la semantica del titolo e di ciascuno dei racconti del libro, concludendo che quando parla della scrittura che riesce a sconfiggere la morte, “ Giovanni Bernardini parla di se stesso, di ogni scrittore, di ogni libro in cui sono depositate la nostra esistenza e la nostra anima”.

Perché prima di cominciare a raccontare, Bernardini annota in esergo una riflessione sul rapporto tra la scrittura, l’arte in genere, e la morte. Dice che queste sono le maniere per sfuggire all’angoscia della fine. Non alla fine, certo, ma all’ angoscia provocata dal pensiero, alla tristezza – più che alla paura – del vuoto che a un certo punto si spalanca. Allora si gioca a nascondino. Forse uno scrittore non è altro che un bambino che non ha mai smesso di giocare, di cercare rifugi – una soffitta, una cantina - in cui rintanarsi per sorprendere se stesso, soprattutto, e gli altri. Nella solitudine della soffitta, della cantina, nella distanza dal mondo che è fuori, in quella sospensione di tempo, in quello sconfinamento dello spazio, in quel processo di pensiero che astrae e simbolizza, Giovanni Bernardini compie esattamente la stessa operazione di ogni scrittore: scava nella memoria o proietta la fantasia. Anzi, spesso i due movimenti si realizzano in maniera complementare, a volte si sovrappongono, si confondono, fino al punto che non si riesce a distinguere più che cosa appartiene alla memoria e che cosa alla fantasia, dov’è il confine che separa la realtà dalla finzione, il sogno ad occhi chiusi da quello ad occhi aperti, in quale situazione il gioco si trasforma nell’azzardo di un colpo di dadi, qual è il nodo che lega – coscientemente o incoscientemente- l’esistenza alla scrittura. Ma è questa confusione che fa la differenza tra uno scrittore e un grande scrittore. Giovanni Bernardini è un grande scrittore. Sa battere bene il mazzo delle carte. Come il personaggio di uno dei racconti, cerca di conservare i sogni, di proteggerli, perché sa che perderli sarebbe molto triste. Anche la scrittura è un sogno. Forse quello che resiste di più. Un sogno che turba, che commuove. Un sogno che costa quanto tutta la vita. E’ vero che ci sono sogni che non si possono raccontare, che sono così intimi e innocenti che si ha paura che altri li possano sporcare. Mi scrive nella dedica al libro: “ Ancora un tentativo di fuga”. Buona fuga, allora, Giovanni, buona fuga.