...e mi diverto a cantare

Due voci raccontano il concerto recital del Fondo Verri, “Qui, se mai verrai...” proposto al pubblico, giovedì 2 aprile al Politeama di Lecce.
La poesia compagna di viaggio alla scoperta d'un Salento intimo!


Martina Gentile

Qui, se mai verrai… e io ci sono andata a incontrare la poesia di quegli uomini e quelle donne che ho già ascoltato tante volte raccontare questa nostra terra, ma che suscitano in me sempre stupore. E sollievo, finalmente. L’irresistibile leggerezza di un verso che mi solleva, oltre tutto il disgusto, oltre tutta la rabbia, oltre tutto il disprezzo. Volo, finalmente. Nelle parole e nella musica che mi pervade e mi attraversa, che mi spacca il cuore e butta giù, a precipizio, dagli occhi una sola lacrima. La lacrima solitaria della commozione, che nessuno può vedere nel buio del teatro Politeama Greco di Lecce, dove si replica e riecheggiano ancora i versi di Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Ercole Ugo D’Andrea, Vittore Fiore, Vittorio Pagano, Antonio Verri, Salvatore Toma, di Rina Durante e Claudia Ruggeri, d’altri poeti di questo Sud, più a sud del Sud. E io, io che odio provincialismi e difese a oltranza di campanili insignificanti, mi sciolgo in questi tocchi di colore, in questi squarci che amo, in cui ritrovo la mia zolla di terra e il mondo che in essa giace, la mia dimensione, il mio orizzonte che diventa sconfinato nel mare che è confine sempre mobile, sempre più in là, sempre oltre. E in quella poltroncina rivestita di velluto, in quel teatro avvolto nel silenzio di un giovedì sera in cui la nebbia ha inondato i vicoli del centro, alzando di tanto in tanto gli occhi al soffitto, per perdermi tra parole e le note, mi dissolvo e non ci sono più. Sono già partita incontro a quel Salento dove il carrettiere passa con la testa penzolante, dove il sole si sfrega contro la mia faccia, dove il vento mi tradisce e il mare mi annega di pensieri e profumi, dove stormiscono le foglie e cade a pezzi il tramonto, nel macello arrossato di luce del crepuscolo. E nei versi ritrovo i colori energici del limone e i fazzoletti annodati per ricordarsi del cuore, le donne pennute, la città dalle tre porte e il Duomo, il carnevale di pietra e il biancore di angeli e strane figure che schizzano fuori dalla facciata della chiesa di Santa Croce. Godibile e seducente, insomma, lo spettacolo di suoni e voci che racconta il Salento dei poeti, proposto al pubblico dal Fondo Verri e patrocinato dalla Provincia di Lecce. Le voci recitanti di Simone Giorgino e Piero Rapanà e la voce fuoricampo di Angela De Gaetano trascinano lo spettatore nel mondo onirico e trasognato della poesia, mentre i suoni di Adria, fatti di note dal gusto balcanico, accattivanti e intense, rendono il percorso poetico ancora più coinvolgente. “Qui, se mai verrai…”, è un concerto-recital avvincente e avvolgente, un momento fatto di carne umana che vibra su un palcoscenico, ora immerso nella penombra, ora affondato nelle luci intense, dove, il coro di voci dei poeti e i versi così ben interpretati e reinterpretati sul suono ammaliante dell’organetto di Claudio Prima, raccontano una terra e la dischiudono dinanzi agli occhi di chi sa vedere e cogliere l’essenziale, attraverso il cuore. La voce straordinaria e dirompente di Maria Mazzotta, le corde tese del violoncello di Redi Hasa e l’eleganza del sassofono di Emanuele Coluccia, fanno il resto, costruendo un abito di note con cui ingentilire ulteriormente la poesia. Qui, se mai verrete… Vedrete, finalmente, uno scorcio di Salento diverso, che annega di luce, langue di bellezza. E chissà se qui vorrete morire, dove vivere vi tocca.

Lina Rignanese

È una storia tutta salentina, quella messa in scena giovedì sera al teatro Politeama di Lecce. È una storia che guarda oltre i giorni presenti. Lo sguardo va lontano, dove i “sogni” sono “barocchi” e “i pensieri a boomerang” incedono con passo reso lento e affannoso dallo scirocco che miete morti fra le rovine di una periferia spesso incazzata, altre volte addormentata. Sul palco ci sono sei sedie. E su di esse due camicie bianche, una sensuale voce araba dalle tinte rosso fuoco, un ipnotico fiato dalle spire circolari, un tappeto di viola, un organetto che sibila onde sinuose ed increspate, (e una voce sibillina). “Il Teatro della Sedia” e la dimostrazione di quanto il minimalismo possa nutrirsi di professionalità e talento e di contenuti ammalianti. La storia narra delle bellezze di luoghi meridionali-mediterranei, fatte di lucertole, pietre, terre rosse e arse, di cicale, zanzare, grotte, di Greci e Messapi, di anfore e tarantole, di uno stato di natura (direbbe, forse, Rousseau) e di sogno, oggi forse obliato. Le parole dei poeti fanno dimenticare questo grigio inverno, questi neri pali, questo puzzo d’immondizia, questi topi sui cornicioni, queste buche per strada, questo stupido affannarsi di un luogo -poco più di un paese - meridionale a voler sembrare città del nord S’imbelletta il Salento, guarda al cemento della riviera romagnola, guarda alla presunzione di Milano, guarda ai prezzi di Firenze, alle tecnologie di Torino, alla movida spensierata e spendacciona. Povero Salento… ha forse abbandonato la sua terra? I suoi campi? I contadini ricurvi al sole? I campi di tabacco? Le dionisiache tarantolate? La cultura della falce? Povero… non vuol vedere che da un palmo dal suo naso e intanto le tasche si gonfiano (e s’intossicano). Ma non vede che (il suo passato) il suo destino è un altro: destino di natura, di gentilezza, di scirocco, di tarantolati, di “donne nere e gonfie” “dolci come zanzare”. Cerca l’austerità ma le sue pietre trasudano festini carnevaleschi e allora che pure si brindi sulle scalinate di Sant’Oronzo o ai piedi del Sedile… queste pietre hanno un che di dionisismo, viscerale e tremolante, come la brezza mattutina sulle carni dei contadini bruciate dal sole e dal lavoro dei campi – aridi e incresciosi. I poeti farneticano. I poeti sono matti. I poeti vaneggiano e si atteggiano a vati. Qualche volta bisognerebbe ascoltarli. Qualche volta bisognerebbe ergerli ad eroi della patria e cantarli a squarciagola o con un filo di voce, ironicamente o con le lacrime agli occhi, con voce di Sibilla o sottovoce. “La poesia salverà il mondo” vaneggiava un beat americano; le loro parole non dovrebbero essere dimenticate.
(Qui se mai verrai... è su: http://www.myspace.com/quisemaiverrai)