Notevoli vicende di don Fefè...









Marcello Mastroianni,
Don Fefè in Divorzio all'italiana


Nel cosmo di Cipìernola, le “Notevoli vicende di don Fefè, nobile Sciupafemmine e grandissimo figlio di Mammaggiusta e del suo fidato servitore Ciccillo”, di Giuse Alemanno edito per “i libri di Icaro”

Il piacere e la vergogna
Elisabetta Liguori

“Pochi minuti dopo quel che rimaneva di Bendicò venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno: durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante : si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi e l’ anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.”
Con questa defenestrazione spettacolare si chiudeva il Gattopardo e dell’antica bestia del potere che mai vuol morire restava solo l’eco.
Oggi la bestia è tornata a graffiare, attraverso la verve unghiata di una delle più belle penne del sud. Quella di Giuse Alemanno.
Le vicende che questo autore sceglie per la sua seconda prova narrativa sono quelle “Notevoli di don Fefè, nobile Sciupafemmine e grandissimo figlio di Mammaggiusta e del suo fidato servitore Ciccillo”, edite nel 2009 da I libri di Icaro. Vicende senza una collocazione temporale o geografica precisa, ma ambientate in un Novecento sempre riconoscibile, caro all’immaginario di tutti, ornato, eterno e crudo, nel recito angusto eppur epico di un meridione polveroso e caparbio. Vicende che Alemanno accompagna ad una risata grassa, che non può non lasciare un’eco profonda nel lettore. I temi sono quelli cari all’autore: cafoni e signori, lusso decadente e obbedienza miserrima, puttanizio e scuraglia alcolica, istinti primitivi e raffinati francesismi, dotte rasature e morti ammazzati nella terra nuda. Tutte da leggere a voce alta. Ecco perché io ho trascorso l’ultimo fine settimana declamando i fumi di questa lingua curatissima e nuova e ridendone amaramente. Un uditorio improvvisato e famigliare mi ascoltava attentissimo, divertito, nostalgico. Si rivedeva tra le righe, entrava con me dentro la commedia, s’agitava dietro le quinte, inorridiva e godeva, suggeriva al suggeritore e rideva di sé.
Sono due le linee di questa scrittura di Giuse Alemanno: il piacere giocoso e la vergogna. E lungo queste due direttrici etiche, personaggi e scrittore si muovono fianco a fianco, in una musicalità corale.
In uno sbeffeggiante realismo, la struttura narrativa di questo romanzo è teatralmente divisa in tre atti: I fazzoletti rossi, Ragionamenti e gelati al limone, Amleto.
Nel primo atto Don Fefè si desta a mezzogiorno: la bestia antica torna alla luce con lui, bella e fiera nella sua elegante veste da camera, mentre il nuovo giorno s’apre per il suo solo piacere e diletto. Quando il grande palazzo Rizzo Torregiani Cimboli scosta i suoi tendaggi vellutati su Cipìernola prona, dunque, s’apre il sipario e il padrone, masticando avanzi di sonno nobile, concede benignamente il suo saluto ai sudditi. Lui che tutto può, lui che tutto deve, per nascita e costumanza, dà la vita, toglie la vita, dà piacere, toglie il piacere, dà il via la grande spettacolo standosene comodo, col paese ai suoi piedi e le donne di tutti strette fra le sue dita inanellate sempre pronte a donargli il sollazzo che gli è dovuto.
Nel secondo atto, poi, don Fefè si confronta con la mala locale e il brio vendicativo di belle femmine dalla gambe larghe e l’occhio fino, finendo per scontrarsi con la paura, l’omertà e la vergogna di una fuga scomposta e collerica, decisamente poco adatta al suo rango.
Nel terzo, infine, don Fefè si lascia andare alla malinconia filosofica, ai ricordi parigini, all’amore che non conosce casta, mentre il teatro e il Primitivo nero gli fanno da compari.
In questo contesto, ben vicina ad un vero e proprio gramlò, la lingua di Alemanno gioca col dialetto e lo mescola agli umori e al corpo, alla sua fisicità più terrosa, così da farne venir fuori tutto l’impeto e l’interpretazione naturale, tra cucine e velluti, sangue e saliva. Tali toni polifonici, scoppiettanti scaturiscono direttamente dal dialogo faticoso tra le classi, dal confronto tra forze disomogenee, dal evolversi cancrenoso del cosmo, dalla vergogna che certi uomini provano dinanzi alla loro incapacità di cambiare. Tanto che, a volte, l’estro teatrale e linguistico di Alemanno riesce ad andare ben oltre la pura narrazione, la comunicazione in senso ampio, per diventare autentica delazione.