La dura vita del giurato




La cronaca del poetry slam de "La Movida”

organizzato dall'Associazione C-arte
e sostenuto dai vini di Castello Monaci

di Vito Antonio Conte

Sono le 21.30 di ieri 23 settembre. Sono in via Paladini e la mia liricità ha assunto forme alte in un abbraccio... Ma è tardi. Un ultimo sguardo... per saluto.
Devo raggiungere quello strano posto ch'è la vineria “La Movida”, non molto distante, nei pressi della chiesa di Santa Chiara, dove la piazza è ancora uno scavo e altre vite che furono reclamano luce. Ho in tasca i miei fogli di poesia. Leggerò i miei versi al primo Poetry Slam (...) che questa città stasera avrà. Ci arrivo dopo pochi minuti e trovo tanti amici e anche altri mai visti.
È già bello. Saluti, abbracci, parole, sorrisi e un buon bicchiere di rosso per scaldare la voce. Poi Luca (Nicolì), che sarà il 'bravo presentatore' della serata, si avvicina - nel mentre sono seduto su una panca all'aperto - e mi dice se voglio fare il “giurato”, che il terzo titolare ha avuto un imprevisto (no, non si è infortunato!). Svesto la tuta e, da buon (all'occorrenza) tredicesimo sempre pronto a fare il suo ingresso in campo, raggiungo il tavolo della giuria: sono in ottima compagnia: Anna Palmieri e Mauro Marino, che di poesia s'intendono, eccome.
Non vi spiegherò le regole del gioco; se non le conoscete venite al prossimo incontro, tra quindici giorni. Intorno alle 22:00, l'agone ha inizio. Apre i canti Martina Gentile. Il mio voto per lei è dieci. Di più non si può. Ma sono di parte e lo confesso ai miei “colleghi”. Ridiamo. Darò dieci anche a Giovanni Santese e a Gioia Perrone (e se anche per loro il mio voto è di parte, vi assicuro che meriterebbero di più...). Un nove pieno a Massimiliano Manieri... che diventerà dieci nel finale a tre, dopo che (bene) hanno fatto la loro parte Gabriele Giannuzzi, Angelo Petrelli, Paolo Ferrante, Marthia Carrozzo e Margherita Macrì (che si esibiscono in una combinata che sfora il tempo massimo, accelerando oltre modo la loro performance e vengono -perciò- penalizzate), Gianni Minerva, Mario Calcagnile, Vito Luceri e Daniela Cecere. È un bell'ascoltare e un bel vedere. Un sentire di ciascuno che diventa comune in una alchemica commistione tra la performance di ogni poeta e tutti quelli che, per caso o per scelta, si trovano nel locale.
C'è che la poesia, in questa occasione, diventa altro. E non c'è spettacolarizzazione, come pure potrebbe accadere, del verso, né parole che possano acquistarsi a etti. Non c'è l'arena, per intenderci. Non ci sono belve e predestinati al loro pasto. Non c'è un pubblico che gode del sacrificio, dando sfogo ai suoi malesseri lanciando volgarità e ortaggi andati a male all'indirizzo dei “giullari”.
Non c'è alcuno che indicherà il pollice verso. Quanto meno, non è accaduto stavolta.
Conservo memoria di episodi del genere di un (anche) recente passato. E non giudico.
C'è che ogni gioco ha le sue regole e non ci sono più (...) partecipazioni coatte...
La poesia, è vero, nasce dentro e intimamente va conosciuta. Altra cosa è il Reading. Altra cosa ancora è il Poetry Slam. L'incontro di cui vi dico è stato un concentrato di tutto questo, nel segno dell'assenza di ogni pregiudizio e della forte presenza del divertimento, di quel divertimento che coincide con lo stare (e stare bene) tra amici (anche se non ci si conosce) e sentire l'allegria che finisce per toccare anche chi l'aveva dimenticata da qualche parte.
Senza trascurare l'attenzione per i temi sui quali sono volati i versi di ogni poeta.
Senza dimenticare la tensione poetica del dire del Capitano Black, ancora colpevolmente poco noto, rievocato in maniera commovente dal 'bravo presentatore' di cui sopra. Senza scordare il riferimento colto a Baudelaire, giocosamente reso da Piero Rapanà. Senza far finta che tutto va bene, ma sentire (sì, “sentire”) davvero che, come ha ribadito Anna Palmieri, la poesia (che, per definizione, è -anche e soprattutto- incontro) può salvare il mondo! Il buon cronista che non sono non deve trascurare di dire che il gioco (piuttosto che il certame) ha, in fine, visto a pari punti Gioia Perrone, Giò Santese e Max Manieri. Che se la sono giocata da par loro. L'incontro (piuttosto che lo scontro) finale ha visto pareggiare (anche dopo i calci di rigore a oltranza: leggi applausi del pubblico) Giò e Max.
Alla fine bottiglie di buon vino per tutti. E, ve lo giuro, al momento dei saluti, c'era nell'espressione di tutti una gran bella e leggera riflessione.