Rosari


di Elisabetta Liguori



Vicino ai palmizi gialli,
decapitati giri d’africa in fioriere di pietra,
tra gli altri nani asciutti della stazione,
seduta ad una panchina per incuria
lei sgranava rosari.
Con le scatarrate di saliva sotto le scarpe
faceva cik ciak
in cadenze ferroviarie.
Un seme per il progetto
due per il ritorno
tre per il fagotto
quattro per il faggiano stecchito dentro
cinque per il freddo viaggiatore
sei per la telefonia mobile.
Il traffico s’acquietava se lei pregava fervida
la novena della sera assuefatta al battito
dei treni.
Lento sì, lento, sì, lento, sì.
“Se ritorna, smetto”
si ripeteva in ogni AveMaria,
piena di grazia.
Poi ricominciava,
sul dodicesimo Gloriaalpadre
faceva smorfie e inchini.
Lento sì, lento, sì, lento, sì.
Con le dita in groviglio,
glielo aveva insegnato lui prima di partire,
tu aspetta lì,
la vita verrà da te, se tu ti astieni.
Aveva detto.
Ma ora che i capostazione sono in sciopero,
le par più adatto
uno di quei cinque misteri dolorosi
di sua nonna.
scomposto in onde di desiderio.