Premiata Sartoria: di parole

Teresa Ciulli sulla poesia di Elena Cantarone

intro a Parole Invadenti (poet/bar 10.6 Besa)


Cuce furiosa sotto il ventaglio di luce mentre la notte avanza divampa. Cuce e taglia e gli sfridi si accumulano sotto i suoi piedi. Mentre il giorno si scioglie dal suo abbraccio si accomiata se ne va. Cuce ininterrottamente per giorni per mesi per anni. Mentre gli sfridi sono diventati una montagna: li ha dovuti accatastare vicino a una delle pareti. A vederli così migliaia di stoffe migliaia di tessuti migliaia di colori, paiono belli, così come sono senza aggiungere e senza togliere, senza muovere nulla al loro interno. C’è una logica pensa, anche così. E’ nello stordimento che provoca. Le cose sono unite da ragioni di contiguità di prossimità e niente altro. Dal loro fisico fortuito incontro e dal gesto che li ha abbandonati solo un poco. Sono quelli, sono loro quegli sfridi accumulati negli anni a ridosso di una parete a costituire l’opera poetica di Elena Cantarone. Cosa accumula una persona che si allena per anni, costantemente, tutti i giorni, come una impiegata dell’arte all’esercizio della voce della parola da mettere in bocca ad un attore più importante di te in una sala di doppiaggio? Cosa accumula un’attrice nel corso della sua esistenza dentro i testi degli altri? Certamente l’abitudine a vestirsi rapidamente e a svestirsi con più velocità ancora. In cosa consiste alla fine il corpo di un attore? Mi viene in mente una conchiglia vuota. Tu l’avvicini all’orecchio e quel corpo anche quando è muto, suona. Di tutta la risacca del mare di tutte le onde anche di quelle che sono state prima molto prima di lui, tanto prima. E questo libro di poesia è come il guscio di una conchiglia se lo accosti al tuo orecchio senti le molteplici voci e l’ingorgo di parole che tuttavia cercano di organizzarsi prima di risalire la spirale di questa ripida scala. E’ solo l’inizio lo sai vero? Perché tocca a te adesso farle scendere.