Sibilo lungo
partitura composta in occasione del festival della Notte della Taranta ed.2004
[ai padri-madri della poesia salentina ]
versi di Cesare De Santis, Antonio Errico, Vittorio Bodini, Ercole Ugo D’Andrea, Salvatore Toma, Antonio Verri
redazione a cura di Mauro Marino
Cesare De Santis
chi potenza e ricchezza va cercando,
ma poi dal grano resta la stoppia
ognuno di noi alfine avrà una tomba.
Non vi è fronte e non vi è corona
che eternamente possa governare
poveri noi!
Per tutti c’è la falce dalla morte ne uno può scappare!
Stoppia di grano che dovrà essere arsa
foglia d’autunno che il vento asporta
albero verde o secco che uragano spezza
legno esile o grosso che il fuoco brucia
lucerna che arde e il vento spegne
fumo che va col vento e cenere lascia.
ne nuovo ebbi
o vecchio o danaroso
tutti alla stessa terra torneremo,
in vari modi sorte ci è comune.
Poveri noi campo di stoppie!
che in mese di settembre furia avvampa;
addio denaro, addio gioia amore
fumo che passa, cenere che resta.
…
cose ch’io vidi e udii per le contrade,
riferirvi storie di monaci che volano
attratti da forza misteriosa
o di femmine stravolte dalla furia provocata
dicono, da morso di tarantola,
di filosofi sapientissimi e biblioteche di volumi intonsi,
acefali, raspati, libri frugali, sibillini.
il groviglio, l’arraffio, le risse coi coltelli,
e poi le meraviglie delle chiese, le pitture bizantine,
i mosaici favolosi, i graffiti primitivi,
e lo splendore dei palazzi, la miseria dei tuguri,
e ancora, i covi di marinai franchi, bucanieri,
i laboratori degli alchimisti, gli antri dei veggenti.
nella crasi della luce, là
nel punto in cui il confine tra cielo e mare si confonde
passano nuvole, come cavalieri che il vento porta al verno, alla bufera.
Passeranno per vuoti, per vapori, per torbide fumee,
si schianteranno su cime di monte, su fondo di dirupi.
Sognarlo così per tutto il sonno che già sento negli occhi.
a descrivervi la luce quando non sfolgora più
quando smuore e si fa tenera,
s’impregna del profumo dei gerani.
Voi, legatele, date ad esse un senso,
quale che sia sarà comunque giusto.
nell’antinomia, nella contraddizione,
nella mistura di buio e di chiarore.
tra palazzi di tufo,
in una grande pianura.
Sulle rive del nulla
Mostriamo le caverne di noi stessi
- qualche palmizio, un santo
lordo di sangue nei tramonti, un libro
lento, di pochi fatti, che rileggiamo
più volte, nell’attesa che ci dia
tutte assieme, la vita
le cose che crediamo di meritare.
e delle sue brulle capre saltellanti di scoglio in scoglio
e delle sue capre per metà divorate dallo Stato
e dei suoi orizzonti un tempo aperti da ogni lato
e dei suoi braccianti uccisi dalla polizia
gli olivi dal cuore umano l’accusare e accusarsi senza pietà.
Il grande Sud delle questioni di principio
Ercole Ugo D’Andrea
(Ditemi il secolo)
Neri su gialli
Son mille spilli d’agonia del mondo
Come fanciulle scalze
Giardini con febbre vanno al mare
Il silenzio, è un naturale linguaggio
spezzato
dall’inciviltà delle macchine
fino all’altra faccia della morte
come stella morta
sul suo guanciale di pietra
e d’acqua verde che repentina
lentissima, la scava
la melograna e la rosa
Vorrei ficcarmi le dita allo stomaco
spaccarmi le costole
spezzarle con grandissimo dolore
aprirle
so che non verrebbero fuori
visceri fegato cuore
verrebbe fuori
neve alberi fuoco
vento pioggia
perchè io sono fatto così
vegetale e libero.
ossessioni inibizioni
società paure
io sono la vita
vita libera libertà foreste
gioia di esistere.
è una donna favolosa.
In nessuna parte
del mondo avrei potuto
trovare un simile mostro
di pazienza e di amore.
La mia, è una donna favolosa.
Pur di non perderla rinuncerei ai miei versi.
darei tutto perché oggi si ripetesse
quel tessersi dolcissimo
di carezze e di sguardi
di tremiti
oggi ridotti ad un tollerarsi
con violenza con rabbia
con ingiurie.
ringiovanire dimenticare
invecchiare illusi alla rovescia
riproporsi…
per quel suo frusciare in un corpo
come un rinascere.
che si può fare
qualcosa di mai tentato.
Si ritrovano civiltà perdute
statue sui fondali
brocche, monili
come posso ritrovare il mio passato
se non è sottoterra
e se non è sepolto in mare?
dove non mi posso tuffare.
questo essere stati
senza possibilità di ripetersi
di dirgli una parola.
dov’è? io non lo vedo.
rumori, dolori
incredibili cose
disonestà, infamie
iI tutto passeggero.
Senti, dissi, ti lascio la città,
proprio non mi va di scrivere se poi tutto si dilegua,
faccio fatica a seguire.
e non riuscivo a contenermi
io, continuamente parlavo
e si rifletteva nel mio occhio
Vi lascio la città consumate quel che vi pare, guardate bene
correte, consumatevi
E poi ancora ho gridato:
c’è un pomeriggio e ci sarà la domenica
e sul mio Declaro quel giorno annotavo
le mie grida; loro continuavano a correre
e io continuavo a gridare, a non capire.
non siamo più credibili,
c’è un nascere di chicca in chicca, esaltazione, tagli,
offerte di fondazione,
un caro inghiottirsi,
inarrestabile, un libro vuoto come un imbuto,
un fondo blu, un gran fiume
e questo incredibile scorrere, continuo, monotono
avanti, oddio, tutti pronti!
in ogni piattaforma, sui terrazzi,
nelle caserme, nelle ovazioni, coperti, schermati,
rosolati da lampade per ogni stagione,
mentre sconfinano i gerghi
e il blu sconfina e i pùrpuri in ogni cosa il pomeriggio
a rincorrere il gran libro, pensatelo possibile,
voi potete credere ad un gran libro:
per mio conto è solo una stupida balena
che col suo clamore ha invaso la rambla…
di molto, il volto della campagna,
degli aggregati umani, di interi paesi:
cambierà ancora
tra due, tre generazioni.
modi di lavoro, rapporti…
sarà l’idea del dialogo con la terra
che l’uomo ha stabilito dal tempo dei tempi,
il grosso respiro. Il sibilo lungo
che si può udire solo di mattina,
mirando nella vastità dei campi,
con accanto, sentinelle silenziose, gli alberi d’argento…
ed io mi fingo lo specchio in cui trafugo
quei sogni accorti che ti racconto
…
col piede dondolante su questo nero ferrato a Galatina
in questa calma ( Cristo, ma come faccio ? ) gonfia di allori
rotta dal grido corto di un mio padre
… ma grida a me o saluta il treno, come sempre?
Eccolo, adesso è una pagliuzza anche lui
rassetta oro, quel che c’è da rassettare
cala la cappa ai conigli, gioca di nascosto col gatto
sperde nel lucore le sue pene, la sua rabbia…
ci parliamo nel regno di camomilla…
dove gonfia l’ortica se la luna fa sperra.