“Il segreto della miniatura” di Renzo Limone, Manni Editore

L'occasione di R.
Vito Antonio Conte

Roberto è “solo uno studioso con qualche velleità di dongiovanni”! Roberto è, suo malgrado, il protagonista del libro che ha vieppiù appesantito un paio di giorni d’inizio agosto di questo mio Tempo. La definizione è dello stesso Autore (la trovate a pagina 73). L’Autore è Renzo (noto come Oronzo, il cui diminutivo dovrebbe essere Ronzo e non Renzo, ch’è –invece- diminutivo di Lorenzo) Limone. Il libro è “Il segreto della miniatura” (Manni Editore, Collana “Occasioni”, pagine 183, € 16,00), esordio narrativo (com’è riportato nella quarta di copertina) del citato Renzo Limone. Gli esordi andrebbero sempre (comunque?) incoraggiati. È vero. A meno che non si dica ciò per “convinzione”. Nel qual caso, sarebbe bene ricordare che “Le convinzioni, più che le bugie, sono nemiche pericolose della verità” (Nietzsche, riportato in esergo dall’Autore, a pagina 5).

E allora, di questo libro, dirò la verità, nient’altro che la verità, tutta la verità, lo giuro!

La storia, che ha - nelle intenzioni espresse - svolgimento nel canovaccio del “giallo” e, all’interno di questo genere letterario, nella specie del thriller, si rivela essere – invece - “occasione” (mai “Collana” fu più appropriata) per denunciare (nelle intenzioni reali?) un’ingiustizia subita (vera o presunta che sia). Questo è risaltato immediatamente a me (che non conosco personalmente l’Autore, né le sue vicende personali, se non da lettore – a volte distratto - di quotidiani locali…) nel mentre ero alle prese con “Il segreto della miniatura”.

Non faccio fatica a credere che Roberto sia stato manipolato all’interno di una vicenda ordita per invidia, gelosia e, soprattutto, interessi di potere con sacrificio della sua posizione sociale. Ché ciò accade quotidianamente, ché le sorti di questo pianeta sono determinate da pochi! Da quei pochi (meglio sarebbe dire: da quelle poche famiglie) che detengono il potere. Per il loro esclusivo profitto. Reiteratamente mi sono soffermato su questo perenne cancro sociale. Roberto fa di questa questione tema principale della sua esistenza in quel determinato frangente della sua vita ch’è narrato in questo libro. È plausibile pensare che ciò valga anche per l’Autore se è vero, come da più parti è stato affermato (e io concordo), che un libro (anche quando non è dichiaratamente autobiografico) contiene sempre (in un modo qualsiasi) qualcosa che appartiene al vissuto del suo Autore.

E, all’evidenza, non parlo di storie di spionaggio, controspionaggio, omicidi, suicidi e donne a non finire tra cui si dibatte (pavoneggiandosi) Roberto, ma basta coniugare il contenuto del libro con le due “parti” dell’ultima di copertina per comprendere quel che dico. Fantasia e realtà. Questi due elementi, ben combinati (insieme a altro…), fanno una buona scrittura. Gli stessi elementi (altrimenti combinati…) fanno l’esistenza. Buona o cattiva, non spetta a me dirlo. Lungi da me ogni intenzione di fare dell’inutile e pernicioso moralismo. Né quello di dare giudizi su alcuno e/o alcunché. Dico quello che penso. E parimenti scrivo. Sempre e comunque. Senza ritenermi il depositario di alcuna certezza… Tornando al libro, devo dire che, tra le cose buone (alcuni tratti in cui è ravvisabile il tentativo di esteriorizzare spaccati dell’umana esistenza di carattere universale…), pure notate, nel suo insieme non mi ha entusiasmato. Su diverse pagine della mia copia ho annotato: “ma dai?!?”. Questa espressione sintetizza, per me, quel che non funziona. In ultima analisi (evitandovi parole circa la trama, la struttura, il linguaggio, i dialoghi, e ancora…), non m’è piaciuta la “scrittura”. Senza stile. Spesso forzata, per niente liquida (fluida), accidentata nel suo scorrere e densa di ricorsi a espedienti meta-letterari che appesantiscono lo svolgimento della storia. Inadeguata alle vicende narrate e ai personaggi. Sfilacciata in ripetute descrizioni di luoghi, ambienti e altre ultroneità. Incapace di reggere la tensione (e in un thriller non dovrebbe accadere!) per effetto di sovrabbondanti romanticherie, ridicole sdolcinerie, patetici sentimentalismi e saccenti passaggi di ego del protagonista. Quel Roberto ch’è troppo “pieno di sé” per essere “vittima” quale pure vuole apparire, facendo di tale suo stato una delle armi per scardinare cuori e gambe di donne e misteri reconditi in seno a organizzazioni occulte e non, sparse ai quattro angoli del mondo.

Roberto è uno dei pochissimi (lui sì) depositari dei segreti della vita e della storia e queste sue conoscenze lo porteranno alla soluzione dell’enigma della pseudo-interpolazione che si rivelerà essere l’intrigo internazionale del secolo. Ma alla fine del viaggio comprenderà anche un’altra cosa: un altro viaggio è iniziato: quello che (forse) potrà condurlo alla scoperta dell’altro da sé (che poco o niente ha che fare con lo status sociale!). Questa volta con un amico fidato. Un cucciolo di San Bernardo (o, come ha detto un altro uomo, di San Bastardo…). E, forse, la donna giusta. Quel che più conta nella vita: una donna con la quale andare verso l’armonia. Quel che manca in questo libro: non c’è armonia tra realtà e fantasia. Troppo profondo lo iato tra luoghi e persone e finzione letteraria. Non c’è –in questa storia- quel magico collante dell’invenzione ch’è dato dal verosimile, sicché il lettore (qual io sono) possa entrare nella storia dinamicamente –vivendola- e non subire reiterate cadute negli inciampi di una struttura narrativa spezzata (non da proficui interrogativi, ma) da continui “ma dai?!?”.

Molto meglio (ho annotato in una “glossa”…) un vecchio esame universitario che, se ben ricordo, si chiamava “Esegesi delle fonti del diritto romano”!