Vittorino Curci in libreria con “La ferita e l'obbedienza”


L'iniziativa delle parole

Il poeta può essere un corpo che risuona di verità
che trilla profetico anche senza saperlo,
un uomo che si affatica intorno ad un suono
come un archetto intorno ad una corda.
Un corpo che, giunto nel punto del suono agognato,
poi sa rimanere fermo e zitto.

Elisabetta Liguori


Da giorni sono ossessionata da un verso di Vittorino Curci:
- Puoi anche star zitta, se vuoi. Nessuno dirà che non esisti. -
Lo si può leggere a voce alta prendendo tra le mani l’ultima pubblicazione della collana “Voli” che “i libri di Icaro” dedicano alla poesia e, con questa uscita, alla più recente fatica letteraria di Vittorino Curci, “La ferita e l'obbedienza”.
E fatica non è un sostantivo che scelto a caso.
Questo libretto di carta grezza scrive del fare poesia e dell’essere poesia. Chi vi si accosti può trovarvi non soltanto versi, non solo filosofia del processo creativo, non solo teoria del linguaggio, non solo pratica della conoscenza o intuizione storica, ma tutte queste cose insieme. Perché questa opera non dice, ma è. E’ prodotto e procedimento produttivo, creazione e insieme desiderio di essere creato.
So da tempo che Vittorino Curci, poeta, sa dire come pochi del corpo umano, di quello che contiene quanto di quello da cui è contenuto, del proprio corpo come del corpo altrui. Questo testo ne è una conferma. Si tratta innanzitutto di un lavoro di analisi e ricerca; poi di rivelazione, infine di condivisione. Il tutto sviluppato con un linguaggio accessibile a tutti e di forte impatto emotivo. Una poesia, la sua, dunque, che rivela, sì, ma cosa rivela esattamente? L’ossessione poetica, direi.
I barbagli della guerra quotidiana e ossessiva del dire, dell’esserci, che, soltanto una volta vinta, conduce alla quiete. In altre parole, quello che Vittorino Curci vuol rivelarci è la sua gioiosa sofferenza, quella provata e quella che ancora prova, nel tentativo di giungere al meritato silenzio.

Un silenzio che per questa ragione diventa valore collettivo.
E se quel silenzio è il risultato, la poesia è il preliminare sforzo ilare, arguto, immaginifico, furioso. Sempre chiassoso. Quello che insegue il poeta è, allora, un risultato bifronte, ci spiega Curci.
Prima: la verità di un suono, la matrice sonora di ogni senso, la nota più forte e precisa tra le altre vaghe, da poter riprodurre per sé e per gli altri, così da sentirsi finalmente vivo, esistente, simile all’universo. Dopo: il tacere, cosicché, se il miracolo è compiuto, le pagine possono ritornare bianche e paghe.
Per questa ragione nel volume di Curci viene dato grande spazio alle ragioni della lettura a voce alta dei testi poetici ed alle sue rivelazioni foniche. Perché il poeta può essere un corpo che risuona di verità, che trilla profetico anche senza saperlo, un uomo che si affatica intorno ad un suono come un archetto intorno ad una corda. Un corpo che, giunto nel punto del suono agognato, poi sa rimanere fermo e zitto.
Curci ci rivela un suo segreto: “Voglio essere sincero: a me scrivere non piace. Per scrivere intendo l’atto in sé e il tempo della scrittura. Quando mi infilo in una frase non so mai se e come riuscirò a cavarmela. Mi chiedo: è questo che voglio dire? Si può fare meglio? L’obiettivo a cui tendo non è un’idea letteraria di bellezza, un problema di stile, ma una corrispondenza, quanto più precisa mi è possibile, tra il testo che scrivo e quel che io sono e sento.” Sacrosanto eppure non sufficiente.
Non è solo la corrispondenza a se stessi l’ossessione del poeta Curci, ma anche l’adesione all’Altro, a quanto di autentico è all’esterno. È proprio questa evoluzione a comportare la progressiva fortunata frantumazione dell’Io che è alla base della poesia moderna. L’io si mescola alla realtà, infatti, mentre la poesia germina naturalmente da questa stessa realtà immanente, per poi da questa staccarsi, distinguersi. È nel punto di contatto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori la verità. Solitudine e collettività: ecco, dunque, il faticoso contrasto che la scrittura osserva, sia quando è poesia sia quando è narrazione, laddove l’uomo sceglie di cedere “l’iniziativa alle parole” così che queste meglio sappiano rappresentarlo. Una grande necessaria fatica supportata da un coraggio dissennato.

Bene, nonostante la fatica, se Curci si sente me, io oggi mi sento lui.

Anche io voglio essere me stessa e l’Altro; essere dentro, essere fuori, essere insieme. Tacere viva, dopo aver parlato. Essere l’aggettivo sottile che si appoggia a questo volumetto prezioso, di e per la poesia, come fosse una finestra, proprio come nel celebre dipinto di Caspar David Friedrich (“Frau am Fenster” “Donna alla finestra” 1822) che con un po’ di fortuna si può ancora vedere all’Alte Nationalgalerie di Berlino o trovare tra le pagine di un libro di poesia come quello che io, fortunata, oggi ho tra le mani.