Nel profondo della coscienza, Molokh di Angelo Petrelli

di Antonio Errico

“Molokh” è una discesa nelle profondità della coscienza; è una interrogazione sul senso essenziale; è una lacerazione dello strato superficiale della storia, dei fatti, dei pensieri, delle parole,del corpo, dello spazio, del tempo. “Molokh” è l’interrogativo sul principio e sulla fine, sull’essere e il non essere, sul sé e sull’altro che ne costituisce il rispecchiamento, sulla lusinga delle apparenze e sul terrore della sostanza, sulla memoria, sul disastro delle forme, sulla salvezza che può venire dalla speranza della bellezza o almeno dall’illusione della bellezza. “Molokh” è la materia che si fa parola e la parola che diventa materia che continuamente si decompone e continuamente viene ricomposta, quasi resuscitata da un gesto divino. E’ la motivazione – forse la giustificazione – che si dà alla trasformazione in linguaggio di ogni fenomeno della natura. Ancora: è la differenza che corre tra la verità e le sue ambigue – spesso indecifrabili – manifestazioni, il labirinto che richiama e che seduce, che pretende l’attraversamento e la scoperta, il testo che si fa e si disfa nella mente, sopra un foglio. Angelo Petrelli ha tessuto questa narrazione poematica intitolata “ Molokh”, edita da peQuod. Pretendendo dalla parola il resoconto di grumi di emozioni e grovigli di sensazioni, la ricomposizione di figure sfibrate, delle ombre che si staccano dai corpi e si fanno linguaggio, reticolo di segni che si configurano come forme che rappresentano l’universo, l’idea dell’universo, i suoi riflessi,le sue proiezioni, le sue opacità, i suoi lucori. Per Petrelli il linguaggio costituisce il principio e alla fine di ogni condizione dell’essere; è l a priori e l’a posteriori. Il linguaggio è il fiat della creazione; è il fiato che si fa armonia, si sostanzia, si condensa, oltrepassa i confini del tempo e dello spazio, cova l’aspirazione all’eternità pur nella consapevolezza della sua natura di flatus vocis, è anima di tutti i tempi reali o immaginari, è l’infinita – unica – possibilità di significare e di giustificare il pensare e l’agire, il vivere e il morire. Il linguaggio è lo scandaglio che consente il tentativo di esplorare i fondali dell’incognita, di fare esperienza del dicibile e dell’indicibile, di squarciare l’opacità della nuvola che nasconde l’essenza delle cose visibili, di penetrare nella dimensione delle cose invisibili. Ma soprattutto: di dirsi e di dire l’altro che ci guarda e che ci riguarda. Petrelli si pone questo punto di vista e questo orizzonte: scoprire e dire un sé e un altro attraverso una parola essenziale, non definitiva ma unica, non assoluta ma insostituibile, perché non c’è altra possibilità oltre la parola, non c’è mezzo, strumento, condizione che possano rivelare il fondale delle storie, il cosmo da niente, le frontiere e le finzioni, e le città sepolte, emblemi, forse, del tempo ritratto, contratto, ridotto a maceria. Per dire questo e di questo ci vogliono combinazioni di parole che sappiano significare anche oltre la semantica poetica tradizionale. Queste combinazioni ha cercato Angelo Petrelli nel suo “Molokh”. Perché si cerca sempre quello di cui si ha bisogno. E lui sa che è di questo che – ora – abbiamo bisogno.