Oppure mi sarei fatta altissima - Su Claudia Ruggeri



OPPURE MI SAREI FATTA ALTISSIMA
Un saggio sulla poetica di Claudia Ruggeri a cura di Alessandro Canzian
( http://alessandrocanzian.leonardo.it/blog )

Per comprendere Claudia è importantissimo capire che una fu la sua drammatica e bellissima verità: l'amore è tutto. È dannazione e salvezza. È legaccio e redenzione. È per noi la chiave che permette di aprire la porta non solo dei versi ma anche dell'intreccio magmatico di citazioni che li compongono.

Si potrebbe dire che ogni essere umano ha bisogno d'amore e sarebbe un'affermazione assolutamente vera. A maggior ragione si potrebbe dire che ogni donna necessita d'amore e sarebbe altrettanto corretto affermarlo. Ma sarebbe anche doveroso sottolineare quanto non sempre questo bisogno d'amore riesca a trovare soluzione.

A volte la voglia è troppa e troppo utopica. A volte il concetto d'amore che si vorrebbe dare e vivere è talmente alto e grande che acceca gli occhi e finisce con l'ingabbiare la persona in un circolo aporetico di errori/pentimenti/sensi di colpa nel quale c'è sempre qualcuno pronto a dare una spinta verso il baratro -è purtroppo la natura umana-.

Le poesie di Claudia sono oltre ogni dubbio poesie d’amore verso un tu e verso sé stessa. Tenendo conto che questo tu appare in realtà come una forma differente dell’io proprio a causa delle delusioni sofferte nel vivendo, che annullano la reale consistenza del tu, dell’altro –ma si potrebbe dire che è un po’ il dramma contemporaneo delle relazioni umane-.

Claudia sogna un tu ideale e in questo riversa tutta l’urgenza del suo amore pur rimanendo allo stesso tempo fortemente legata alla realtà. Pur cercando questo tu ideale dentro la realtà. Soffrendone gli inevitabili attriti.

[…]

La compresenza di luce e oscurità in Claudia viene vissuta in tutta la sua drammaticità ed è questa oltre ogni dubbio la più grande intelligenza della poetessa. Il saper guardare al male per quello che è, senza fronzoli e con penetrante sincerità:

non la cosa

è mutata ma il suo chiarore; ma a voi che vale.

(il Matto I del buco in figura - Beatrice, Inferno minore)

Questo atteggiamento, che oserei dire prettamente poetico e ancor più significativo se pensiamo all'epilogo di Claudia, non può che sfociare in una ricerca di redenzione, di salvezza.

“Tu ti dai pena per quella pianta di ricino (...) che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei avere pietà di Ninive quella grande città...” (Giona 4,10)

dice l'epigrafe a il Matto II (morte in allegoria) Ninive.

Un entrando importante perché a fronte del problema prima presentato -la ricerca d'amore ma in un terreno inquinato- immette nella pulsione alla soluzione.

Direzione giusta, attenzione. Claudia presagisce una ricerca di sé stessa

dove cerchi la larva del tuo femminino e l'arresto

(il Matto II morte in allegoria - Ninive, Inferno minore)

come percorso che porta al riscatto dai propri errori e dalla propria realtà così come Ninive si converte al Dio biblico e trova pietà e salvezza.

Ma il percorso di Claudia è in qualche modo a priori fallimentare. Ninive viene salvata da Dio ma l'attenzione di Claudia è per i ricini che nascono presso la città. Perché quei ricini sono lei, e come lei sono inevitabilmente destinati a morire. A non essere inclusi nella pietà che Dio concede.

Ma tale morte non è da intendersi come presagio della morte fisica. L'allegoria comunica chiaramente una morte alla salvezza, alla possibilità della salvezza, ripresentando la contrapposizione bianco/oscuro fantasma e Beatrice/purgatorio nella forma Ninive/ricini.

[…]

Volendo tirare un poco le somme di Inferno minore bisognerebbe sottolineare che questo è il viaggio che Claudia intraprende chiaramente sulla falsariga della Commedia.

Tre sono i capitoli, Il matto Interludio e Inferno minore, come tre sono le cantiche dantesche, Inferno Purgatorio e Paradiso. Due sono i personaggi che inizialmente s'apprestano al cammino, Dante e Virgilio, come in due si sdoppia la voce di Claudia: Claudia e il matto.

Il matto è, per definizione, colui che

ha sempre goduto della facoltà di esprimersi liberamente, di dire cose che agli altri non era concesso, semplicemente perché alle loro folli parole non veniva dato alcun credito, sebbene spesso dicessero cose vere, come se la pazzia fungesse loro da scudo, o da privilegio intellettuale

(fonte: www.geocities.com/a_pollett/cardjoki.htm)

dando la possibilità a Claudia di pensare e di parlare liberamente proprio attraverso tale personaggio.

Ma a chi realmente parla Claudia? Solamente a sé stessa nella continua autoanalisi del sé. La poetessa tenta con tutte le sue forze intellettuali di innalzarsi dalla sospensione del Purgatorio per uscire dalla vuota sospensione della propria vita. Dal tunnel soffocante in cui sente di addentrarsi proprio a causa del suo bisogno d’amore.

Claudia vede il Paradiso ma i ricini sono presso Ninive, vicini ma non inclusi nella salvezza. I ricini muoiono quasi non visti, muti e sordi, minori.

Oltre agli ormai classici modelli di riferimento –D’annunzio, Bellezza, Campana, Bene, eccetera- altri potrebbero essere inclusi, se non tra i modelli, almeno tra gli accostamenti. Sto parlando di T. S. Eliot con la sua Terra desolata che con lo stesso impasto di citazioni letterarie crea un insieme di macerie a testimonianza della realtà europea a lui contemporanea. Ma mentre Eliot in qualche modo trova la sua «Shantih» la poetessa leccese rimane arenata nel proprio intimismo e ridicolo che consegue al suo stesso inferno.

Ancora si potrebbe citare il Baudelaire de I fiori del male con la sua ricerca d’armonia in una realtà corrotta pari all’autoanalisi che Claudia conduce con grande intelligenza e onestà intellettuale. In primis verso sé stessa.

[…]

Claudia fu poetessa oltre ogni dubbio. Leggere Claudia porta a riflettere su ciò che è l'aspettativa della realtà e la realtà stessa. Su ciò che è la nostra percezione della vita e ciò che è realmente la vita, con tutti i suoi sbocchi e fallimenti.

Purtroppo la realtà confonde nella vita dolore e felicità esautorando quest’ultima della sua sostanza e lasciando solamente un continuo desiderio di quiete che ci sfugge. Un intenso inferno nel quale non sembra esistere alcuna luce anche se, magari, la luce è proprio appena al di là della più semplice attesa.

Claudia lascia di sé un'impareggiabile forma di letteratura trasversale. Una forma che probabilmente non avrà alcun seguito a causa della sua complessità che è anche il margine della sua completezza e grandezza. Letteratura che, se compresa, può veramente dare nuove sfumature al termine “poesia d'amore”.

E poco importa di quale amore si sia realmente trattato. Amore assoluto. Amore spirituale. Amore carnale. L'amore è tutto questo. È purezza. È totalità degli opposti. È speranza. È completezza e talvolta è vuoto. È fragilità e saggezza. È bellezza.

Ora è, in parte, anche Claudia.

da Oppure mi sarei fatta altissima, Terra d’Ulivi, Lecce 2007, per info e acquisti mare38@libero.it