Nicola Carducci non è più

Scrittori salentini,
tra coscienza del passato e letteratura

di Angelo Petrelli
(da Il Paese Nuovo del 20/1/06)
http://angelopetrelli.blog.dada.net

E’ intitolata “Scrittori salentini, tra coscienza del passato e letteratura”(Pensa Editore 2005, 461 pagine, 20 euro) l’ultima opera teorica di una lunga serie del professor Nicola Carducci (leccese classe 1925). Questo lungo saggio è composto da una corposa serie di monografie, in grado di costituire un tassello dopo l’altro una mappatura più o meno esaustiva della letteratura salentina ottocento novecentesca. Tra gli autori presi in esame Francesco Antonio Astore, Ignazio Ciaia, Tommaso Fiore, Francesco Stampacchia, Fabrizio Colamussi, Vittorio Bodini, Vittore Fiore, Salvatore Paolo, Giuseppe Sozzo, Bruno Lucrezi, Irene Maria Malecore, Ercole Ugo D’Andrea, Antonio Verri, Enzo Panareo, Luigi Tarricone. Da questo lavoro scaturisce un’evidente constatazione critica della ricchezza e del peso della letteratura meridionale, in un periodo storico culturale come quello che stiamo vivendo, dove la letteratura, spesso, si dice “morta”, allontanata dalla sua valenza sociale, e di conseguenza anche la critica sembra prossima al trapasso, tra genocidi culturali vari (Carla Benedetti, «L’Espresso», 7 gennaio 2005) e eutanasie (Mario Lavagetto «Eutanasia della critica» Einaudi). Rimane comunque possibile pensare che da questa condizione di pessimismo tanto diffusa sullo stato della critica, probabilmente, stia nascendo una nuova critica. Questa critica del “2000” è forte di dibattiti, di articoli giornalistici, di inchieste e reportage; insomma è ricerca di nuove soluzioni, e ragioni di emissione, ma anche di rivisitazioni del passato, riletture, e non a caso ha maggior senso, in questo contesto, il lavoro del professor Nicola Carducci. Guardando il problema specifico della critica, e proclamata con ben poco nostalgia la fine di formalismo e strutturalismo, dell’autonomia del significante, del testualismo; va centrandosi una condizione di invidiabile vantaggio acquisito nella sintesi dell’arte di scienze come la semiotica applicabile “al testo” (che intendo, anche, e non sono letterario) e la linguistica che, nel generativismo, diviene una concettuale “genetica dell’opera”, oltre che del linguaggio. Proponendo ora «un’eutanasia», non si fa altro che accendere una fenice pronta a riemergere dalle fiamme della sua morte, proprio perché educata ad una nuova “interpretazione” dell’arte e del mondo. È bene che in un clima di «genocidio culturale» emergano i discorsi sugli spazi concessi alla critica letteraria, sui tempi, sulle committenze e le loro motivazioni più materiali; discorsi che sono evidentemente politici. Dove il mercato è assunto come dogma, e diviene l’unico metro della società, la crisi non è più quella della critica letteraria, bensì del pensiero critico in generale, costretto dall’avvilimento a ritirarsi di fronte al suo “essere merce”, e al suo status di pura etichetta di un prodotto da vendere. Ritornando al locale, e alla cultura meridionale, possiamo senza ombra di dubbio affermare che la presenza di spazi di incontro, per esempio, nella nostra Lecce come Il Fondo Verri di Mauro Marino e Piero Rapanà in particolar modo per la letteratura, e l’associazione culturale Il Raggio Verde per le arti visive: stanno facendo un ottimo lavoro, per quanto precario e difficoltoso, nella loro opera di “promozione” ove sta nascendo una nuova genia di critici e scrittori, e artisti in generale; si vuole dare a questi una collocazione, quanto meno spaziale per serate e dibattiti, una possibile emersione, dove appunto la critica militante “non può esistere”, se non, appunto, come quella di questo volume “Scrittori salentini” che prende in esame, che raccoglie le prove di una critica militante attuata nel passato e che ora è storicizzata, acquisita, assimilata. Così in questo contesto come si propone il lavoro del professor Carducci, che per certo può essere uno dei padri, dei maestri, per le nuove leve, quali scelte sono state fatte da questo critico, quale ragioni ha espresso nel suo giudizio? In “Scrittori salentini” gli autori verso i quali Carducci rivolge la propria attenzione sono, ovviamente, tra i più rappresentativi del fermento culturale “storico” del Mezzogiorno salentino, ma non solo, poiché per le defezioni illustri e le riscoperte, possiamo considerare questo un libro ricco di sorprese, “luogo di concetti” dove non ci si annoia. Il testo è diviso in tre parti: “L’ottimismo della volontà”, nel segno della repubblica partenopea del 1799. Del dissenso antifascista , spesso clandestino, la seconda parte dal titolo: “Tra le due guerre: “Non mollare”. La terza sezione dell’opera, peraltro la più cospicua, è intitolata: “Tra realtà ed idealità”, della riscossa e della rinascita, e della liberazione avvenuta. E quella conclusiva, la quarta, “Temi e problemi”: dove si stracciano alcuni profili dell’intellettuale salentino e delle sue vocazioni. Così autore per autore l’analisi si apre all’opera di Francesco Antonio Astore, sempre teso verso una produzione in grado di ben rappresentare letteratura e spirito rivoluzionario; poi la poesia del “giacobino del Sud” Ignazio Ciaia. In successione Carducci si è cimentato in una lettura sinottica di “Un popolo di formiche” di Tommaso Fiore, e nel ricordo di un’importante testimonianza tra letteratura e pittura come quella di Giuseppe Sozzo, la centralità della retorica del dolore nell’opera di un’artista sopravvissuto alla deportazione nei campi di sterminio nazisti. E’ presente, inoltre, una riflessione sull’importante tema della “cospirazione provinciale” nella poco nota produzione narrativa di Vittorio Bodini. Continuando il percorso critico intrapreso da Carducci, possiamo soffermarci ancora, leggendo il testo, sull’impegno meridionalista nella poesia di Vittore Fiore, sulla narrativa di Salvatore Paolo, sulla poesia di Ercole Ugo D’Andrea e di Irene Maria Malecore. Una delle ultime trattazioni è la monografia su Antonio Verri dal titolo: “Le audacie espressionistico-sperimentali di A.V.”, nella quale si delineano i connotati artistici di uno dei più grandi, e appassionati, scrittori del novecento salentino, autore di pregevoli operazioni culturali quanto di affascinanti opere letterarie. Per concludere la sezione, Carducci propone una capitolo dedicato ai versi del poeta Enzo Panareo, con il suo “male di vivere”, e in sequenza un’analisi della poesia militante di Luigi Tarricone. Un percorso critico “abbondante”, e personalissimo; molto significativa è così l’esclusione di nomi eccellenti della letteratura meridionale, a scapito d’altri ben meno noti, ed in particolare di alcuni poeti quali Girolamo Comi, Salvatore Toma e la prematuramente scomparsa Claudia Ruggeri, poetessa ricordata negli ultimi tempi da diversi articoli e interventi su importanti riviste letterarie, a carattere nazionale, tra cui il trimestrale Nuovi Argomenti (edito da Mondadori). Nel testo è assente anche Vittorio Pagano, ma a cui Carducci ha dedicato un ampio studio in passato “Vittorio Pagano: L’intellettuale e il poeta” (Luca Pensa editore, 2004). “Scrittori salentini” è un testo audace per le scelte che compie, e che può dare un’interessante panoramica, per quanto “accademica” nei toni e nella trattazione per tematiche, delle maggiori voci che hanno caratterizzato la storia della cultura meridionale ed in particolar modo del nostro Salento letterario.