Un bambino, la magia della camera oscura e una lezione di umiltà

Una storia, questa, che inizia verso la fine degli anni ’30 del secolo scorso. Un fotografo. Una scatola magica. Un bambino. Don Luigino nella villa comunale di Lecce incanta grandi e piccini; trasporta un cassone nero con due ruote di bicicletta ai lati e una cornice sovrapposta dove espone la merce: le sue foto.
La “cassa nera” è un mistero, con due manicotti di stoffa per metterci le braccia e un cappuccio per infilarci la testa; una finestrella con vetro colorato per far filtrare la luce dall’alto. All’interno, la magia dello sviluppo e della stampa fotografica “prêt-a-porter”: bacinelle con i bagni di sviluppo già pronti!
Ma questo lo si capirà dopo… Nella sua bella macchina a soffietto inserisce le carte sensibili montate su telaio e fa “click”… togliendo il tappo dall’obiettivo!
Pochi secondi, tappo inserito, porta il telaio nello scatolone nero, sviluppa e stampa la carta sensibile ottenendo la prima immagine in negativo. Adattando il fuoco col soffietto della macchina fotografica “rifotografa” il negativo ottenendo il positivo.
Di nuovo sviluppo e fissaggio nella sua camera oscura a due ruote e la fotografia, ancora gocciolante di lavaggio, è pronta per essere consegnata al passante di turno! E tra i bambini, incantati dalla scatola magica che cercano di piazzarsi alle spalle del soggetto fotografato e restano a controllare se e come son venuti nei ritratti, c’è qualcuno non indifferente a scoprire i segreti di quella cassa nera.
Tanto incuriosito da farsi regalare per la licenza media una “Ferrania” a cassetta e approntare negli anni successivi una camera oscura con i pochi mezzi a disposizione. Recuperate in qualche modo le formule per i vari bagni di sviluppo e fissaggio, si fa preparare da un rivenditore di prodotti chimici “‘nnanzi a S. Matteo” le cartine da sciogliere in acqua.
E via nella camera oscura, attrezzata (si fa per dire…) con un telaio cubico realizzato con listelli, ricoperto da “cellophane” rosso con inserita una lampada a basso voltaggio; al posto delle bacinelle per i bagni, due piatti. Tirate fuori le pellicole “6x9”, messe nei piatti, le fa scorrere manualmente su e giù, tirandole dalle due estremità per il tempo previsto.
Poi, sempre con la stessa tecnica, lavaggio in acqua fredda, bagno di fissaggio e nuovo lavaggio. Una volta messe ad asciugare le taglia in fotogrammi singoli.
E adesso viene il bello! Ovvero,… gli esperimenti di stampa diretta… per tentativi!
La carta fotografica sensibile viene sovrapposta a contatto diretto con il negativo tra due vetri recuperati da un fermacarte! Il tutto, poi, viene poggiato su una sedia posta sotto la lampada centrale della stanza.
E fin qui,… tutto facile! Ma quanto tempo dovrà restare accesa la lampada perchè la carta si “sensibilizzi”? Pochi secondi… non succede niente! Qualche secondo in più,…. ancora niente!
Aumentando ancora i tempi, s’inizia a intravedere un’ombreggiatura sulla carta! E così via, fino alla comparsa dell’immagine: dimensione pellicola “6x9”!
Negli anni successivi finalmente riesce ad acquistare un vecchio ingranditore senza obiettivo, a cui ne adatta un altro proveniente da una macchina fotografica vecchia. E via con le stampe di varie dimensioni e con le “bordate”! Come? Facile: basta poggiare una cornice bianca precedentemente realizzata sulla carta sensibile.
E poi via con l’uso di carte diverse, la 1000 punti, la liscia, la morbida, la seppiata. Vuoi la foto su carta lucida? Nessun problema: basta lasciar asciugare la foto su una lastra di vetro per ottenere l’effetto!
Ogni volta che ascolto questa storia e mi sento dire: "Tu sì che sei brava!", mi faccio piccola piccola! Quello bravo è stato lui!
Una lezione di umiltà per me, fotografa digitale del terzo millennio, alla quale bastano qualche milione di “megapixel”, una “reflex” ipertecnologica, un “click”, una scheda e qualche quarto d’ora di “Lightroom”! La vera sfida, allora, era anche la semplice messa a fuoco con una “Ferrania” a cassetta! E lui ci riusciva alla grande!
Ecco perché, anni dopo, di fronte al mio: "E come faccio a fotografare?" (la sua “Minolta” a telemetro degli anni ’60 era tutta manuale e l’unico automatismo era l’esposimetro interno, peraltro rotto!), mi disse: "Misura le distanze mentalmente, tanto per tutto il resto ci sono le tacche per la profondità di campo!".
Già, le tacche…. Adesso non le segnano più sugli obiettivi, d’altronde basta un pulsante…. Ma io d’istinto, le cerco ancora! So solo che, con tutta la tecnologia a disposizione, non ho ancora realizzato un solo scatto paragonabile ai suoi: chi viene nel mio studio, tra le altre foto, si incanta solo guardando il suo “vecchio con menhir”! Sarà l’assenza delle tacche, l’esser digiuna di camera oscura o ….. il non aver avuto la benedizione di Don Luigino?

P.S.: il bambino della storia oggi ha 83 anni e, qualora non si fosse capito, è mio padre!


Claudia De Blasi