Diventare "ortesi"

Scritture meridiane Anna Maria Ortese
di Santa Scioscio

"Per me il nome di Anna Maria Ortese è “Corpo Celeste”. Quando l’ho conosciuta era un inverno condiviso, nella sala lettura del DCA. Incomprensibile nello smarrimento, il corpo celeste sembrava un inspiegabile sospiro, e irraggiungibile nella lontananza che deglutisce. In fondo era solo una lettura e un ascolto che mi imponevo. La lettura condivisa riscaldava e apriva il suono della possibilità… quella di silenzi, che fossero lontani dalla scena dell’impronta nello specchio; la voce del vissuto altrui descritto in quelle righe si faceva pian piano possibilità di credere in speranza. La curiosità muove, così la fedeltà all’essere donna, me!

Così il silenzio, da quella scrittura, mi ha fatta “più” e tinta di celeste… di un cielo squarciato di possibilità. Per me il nome di Anna Maria Ortese è Corpo Celeste: “ortese” è il suo masticare la quotidianità, “ortesi” gli orecchi di conchiglia spiaggiata che raccolgono e raccolgono, e tengono finché il vento non respira dentro e mi semina la voglia di viaggiare nell’incontro. Ortese è tutto ciò che accade fuori e dentro, che è mai dimenticato, è tutto ciò che lucidamente rapito è restituito con atto di intera fedeltà

Mi tuffo nella lettura solo come chi ha paura del mare sa fare, esattamente come un sogno, nel concreto spingersi verso altezze più elevate, più claustrofobiche, più... Dove si respira il canto seminatore. Ogni parola letta è un passo in su, ogni seme è trapiantato, innestato alla volta di un’ondata di schiuma bianca bianca, che porta più in là con “la lente scura” che intravede il passato, e l’attuale, nello scherno nostro, che intravede malinconia e vergogna… “ortesi” sono gli occhi che vedono attraverso la lente scura; e scrutatori sono i luoghi che cercano lo sguardo, denudando le frontiere dell’apparenza. Gli occhi sono concretezza di inchiesta, riempimento fotografico, calore vicino, illimitato fascino di ascolto è “la lente scura”.

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Corpo Celeste”, libro di Anna Maria Ortese, edito da Adelphi, “racchiude scritti che vanno dal 1974 al 1989 meditazioni, memorie, conversazioni, illuminanti della loro trasparente ragione questa terra "perché non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare", e anche perché Ortese abita luoghi lontani dalle risse del mondo, solitario, indomabile folletto di percorsi di foresta e di acque cristalline, creatura di luce e orizzonti incontaminati, il cui sguardo d'acqua bagna le rive esauste della terra in una rivisitazione che ne coglie l'immane ingiustizia”.