Raffaele De Giorgi, nelle parole...

Antonio Errico

Non è orizzontale lo sguardo di Raffaele De Giorgi. E’ obliquo, trasversale, attratto dal richiamo dell’analogia; poi è uno sguardo che si muove nei territori culturali in verticale: discende, scava, sprofonda, fino a raggiungere il punto in cui ha origine il fenomeno, dove matura una condizione dell’essere e dell’esistere, prende forma l’idea del tempo e delle cose, la concezione del limite e dell’illimitato, del finito e dell’infinito, del possibile e dell’impossibile, del vero e del falso, della verità e della menzogna, della realtà e della finzione. E’ uno sguardo che indaga gli eventi e gli elementi del sociale, i motivi e i moventi dei fatti, le cause e gli effetti, che scandaglia i fondali della conoscenza, che perfora la superficie dell’apparenza per rivelare quello che è in relazione a quello che sembra, che stringe i piani del significante e del significato, della forma che si separa dalla sostanza e della forma che corrisponde alla sostanza.

De Giorgi penetra nelle parole per rintracciarne il senso, i sensi essenziali, radicali: quelli che costituiscono l’autenticità, la differenza. Quelli che strappano le maschere. Quelli che rivelano i trucchi, gli imbrogli, i colpevoli artifici. Parole come identità, memoria, Sud, spalancano voragini semantiche nelle quali il suo sguardo si inabissa.

Ricordavo di aver letto una scrittura di Raffaele De Giorgi che diceva di Lecce. Mi erano rimaste certe atmosfere, certe immagini. Ma per quello che dovevo fare mi servivano le parole: quelle parole precise. Ho cercato tra gli articoli di giornale che ritaglio e conservo, e non c’era. Poi ho cominciato, per intuizione, a rileggere uno dei suoi libri, “Futuri passati”, edito da Pensa. Una scrittura secca. Idee taglienti. Un’argomentazione da accerchiamento. Nuclei concettuali che si espandono, si diramano, coinvolgono altri nuclei. Frammenti che si ricompongono in una struttura coerente, coesa, perché appartenenti ad un progetto unitario, ad una visione complessiva, ad un pensiero organico, rigoroso. Uno stile che sintetizza tutte le categorie di cui parla Italo Calvino nelle “ Lezioni americane”: leggero, rapido, esatto, visibile, molteplice. Un linguaggio che non si concede mai una morbidezza, sempre teso all’essenziale, al confronto senza mediazioni. Nitido. Implacabile. A pag. 58 trovo quello che cercavo su Lecce, ma non mi soffermo; ormai sono nel flusso, attraverso il passo, vado oltre. Perché quello che cercavo diventa meno importante di quello che non cercavo e che riscopro.

Di tanto in tanto, nel corso della lettura, si presenta – indiscreta, inopportuna – la domanda su quale sia il genere di questo libro. Banale domanda, perché ignora la circostanza che il genere rappresenta la convenzione di un’accademia che non ha passione. Mentre questo è un libro tramato di passione, di un lucido ed inquieto sentimento degli esseri e delle cose. Contempera l’analisi del filosofo con l’andamento del narratore. Le parti che compongono questo libro sono le riflessioni di uno studioso proposte con le forme del narratore, probabilmente perché pensate, elaborate, con il metodo scientifico del ricercatore e con lo scarto dalla comune grammatica della visione che caratterizza il processo di pensiero dell’ inventore di mondi.

Allora viene in mente, inaspettata eppure inevitabile, quella figura del narratore come persona di consiglio di cui parla Walter Benjamin nel saggio sull’opera di Nicola Leskov contenuto in “ Angelus Novus”; e nonostante questa parola, oggi, possa sembrare inadeguata ai tempi e incoerente con i comportamenti individuali e collettivi, con l’edonismo a prezzi stracciati, con la superficialità allarmante, con l’indifferenza insolente, vorrei azzardarne l’uso ed affermare che le riflessioni, le argomentazioni, le esemplificazioni di Raffaele De Giorgi si caricano del senso di un consiglio che coinvolge le sfere dell’essere con gli altri, tra gli altri, possibilmente per gli altri. L’altro è un vecchio con le mani bruciate dal freddo che dice “ per me è sempre Natale quando ti vedo”. L’altro è un bambino che dorme e “forse sogna parabole, forse esempi, forse racconti che dirà a quell’umanità che gli sta davanti , perché spezzi le catene che le bloccano la parola”. L’altro è un ragazzo solo “ schiacciato dal mondo. Soffocato dal mondo, dagli altri, dagli adulti”. L’altro è ogni creatura alla quale non vogliamo rassomigliare, che non sappiamo ascoltare, a cui non riusciamo a parlare. E’ la nostra coscienza che abbiamo voluto ammutolire. Così il consiglio più profondo di Raffaele De Giorgi dice che è urgente ritrovare quella parte di noi che vive segretamente con il cuore dell’altro.