Mino De Santis - Un fuoco che canta

Musiche dal Salento Continua a soffiare forte il “vento dal basso” de lu Scarcagnizzu di Mino De Santis, oggi, venerdì 28 ottobre alle 21.30, l'appuntamento con il cantautore salentino è alla Saletta della Cultura di Novoli. A presentare il concerto, la “cronaca” di una sera a Sternatìa con le canzoni di un menestrello irriverente

Maira Marzioni

È domenica. Siamo a Sternatìa. Stasera c'è la festa del peperoncino, non la solita sagra estiva, ma una piccola manifestazione, pochi banchini nelle due vie principali del centro ognuno con una diversa specialità culinaria, ma tutti a base di peperoncino. Siamo qui per ascoltare Mino De Santis. Dopo i cantori di Zollino il presentatore annuncia Mino, lui imbraccia la chitarra si siede e inizia a suonare. Dopo le prime due canzoni, canta “Arbulu te ulie”. “Siccome non so quanto potrò cantare, faccio questa perché mi sembra importante in questo momento. C'è qualcuno in questi giorni che vorrebbe espiantare ulivi per metterci il fotovoltaico”. Una canzone necessaria. Intorno intanto timidamente qualcuno si siede, qualcun altro se ne va in cerca di pizzica, un bambino si piazza davanti al faccione di Mino e sorride dondolando, mentre lui canta. A un certo punto inizia a piovere, prima poche gocce e poi di più. Alcuni se ne vanno, altri irriducibili prendono la sedia e si mettono sotto al gazebo, dietro a Mino che canta. Lui si guarda intorno un po' spaesato e va avanti. Iniziamo ad avvicinarci tutti. Si decide di girare le casse all'interno, ci addossiamo a Mino che ha giusto lo spazio per la sedia e la chitarra. La serata cambia forma. Non c'è più il vuoto davanti all'artista, ma un gruppetto di gente che sfida l'acqua e ascolta. Le facce più belle sono quelle che quasi gli stanno in collo. Signori anziani con la pelle segnata, che ammaliati ascoltano questo cantore anomalo, menestrello irriverente che dice senza aver paura di dire. Uno di loro se ne sta con la faccia seria e scura sotto a un cappello da baseball, in giacca e pantaloni pesanti, annuisce e batte le mani convinto, ad ogni fine di pezzo. All'arrivo di alcuni versi in molti sorridono, scattano applausi nel mezzo della canzone, gesti di approvazione. Vicino al signore scuro, c'è Uccio, Mino lo conosce. “Questa te la dedico Uccio, mi ricordo che ti piacque”. Lui si toglie il cappello e ascolta. A un certo punto arriva un ragazzo dal viso sorridente e dolce, un bonaccio, con un flauto di legno che non suona, ma che appoggia solo alla bocca sdentata. “Questa è una canzone sulla libertà, che costa...”, dice Mino. “E quanto costa?” chiede lui. “Tanto”. Arriva da dietro una voce: “Ma tu ce l'hai già la libertà!”. Non so dire se sia stato il mio sguardo artefatto da quella situazione bella e surreale, ma giurerei di aver visto le sue labbra cantare i versi di Mino: “La libertà è un boccone bollente, finché ddafridda t'ha catutu nu tente e n'immensa casa per chi casa non ha, tutta la piazza della città”. Alla fine della canzone Mino è felice e la piazza è una casa. Le facce che stanno attorno hanno tutta l'aria di sentirsi raccontate dalle sue parole. “Forse state scomodi in piedi, magari faccio l'ultima”. Ne sono susseguite altre e poi altre, a richiesta oppure no. Nessuno se ne è più andato, qualcun altro si è avvicinato. Il signore e la moglie dapprima titubanti alla fine applaudivano al ritmo della chitarra. Una ragazza giovane che faceva parte dello staff della festa si è avvicinata sorridente, guardava gli altri contenta, in piedi. È tornata persino la signora che cercava disperatamente la pizzica. Quelli della seconda fila e oltre non vedevano la faccia di Mino, né le mani grosse sui tasti della chitarra, ma è come se leggessero le note nelle espressioni degli altri, spartiti di carne che per una volta non si è temuto di guardare, magari di sottecchi. Stavamo tutti là stretti come si sta attorno a un fuoco che canta, ad accorgerci che era bastata una pioggia a far diventare le parole di uno quelle di tutti. La gente di Sternatìa ha abbracciato Mino per una sera e lui ha ricambiato. Il vento dal basso che sa scompigliare, senza perdere la tenerezza.