Il Salento estremo di Rocco Normanno

















Un'opera di Rocco Normanno


Per Vittorio Sgarbi, Normanno, è l’ultimo dei caravaggeschi che è come dire che egli guarda e rappresenta la realtà di oggi come Caravaggio vedeva e rappresentava la realtà del suo tempo. La stessa realtà in abiti diversi


Nel sé, tenere l'arcano

Gigi Montonato

Rocco Normanno per esprimersi è come se avesse scelto un contesto protettivo. Nel suo caso, Caravaggio, il pittore dei contrasti di luce violenti; maledetto per la sua vita disordinata e criminale. Ma la scelta, quale che sia, è rivelatrice, confacente.

Rocco è un mite. Lo è sempre stato. Ho un ricordo personale. Se mi sbaglio, spero che mi corregga. Mi recavo a scuola, una mattina di novembre del 1981. Insegnavo a Ruffano e sulla via che da Taurisano porta verso quel paese, col sole accecante di fronte – qui, nel Salento il sole basso è un laser – quasi investivo un bambino, di sei o sette anni non di più. Lo urtai con la fiancata della mia 126. Scappò via. Una persona mi disse che era figlio di Guerrino Normanno, che abitava nei paraggi. Conoscevo bene compare Guerrino, spesso ero stato a casa sua per chiamarlo a giornata nel mio giardino. Mi preoccupai di sincerarmi se gli avevo fatto male. Lo trovai a casa con la mamma. No, non è niente, professore; va tutto bene. Rimasi colpito dalla sua serenità e mitezza. Qui, nel basso Salento, a Taurisano, i bambini in genere sono come la luce del sole, vivaci, sfrontati, dispettosi. Il rione “Matonna”, dove i Normanno avevano le loro case, è come un paese nel paese. Abitato tradizionalmente da famiglie di contadini, giornalieri di campagna, una volta con dieci-dodici figli a testa e a volte anche di più. Fino all’età di undici-dodici anni i maschi vivevano per strada, dediti ai giochi più vari, capaci di ogni sorta di acrobazia, di scalare muri alti anche tre metri per entrare nei giardini privati, salire su alberi di sette-otto metri per raggiungere le primizie e andare per lamie da un capo all’altro dei caseggiati.

Fu per me come una meravigliosa scoperta, quando, alcuni anni dopo, nel 2006, ebbi il catalogo di una personale di pittura, tenuta a Piacenza, con la presentazione di Vittorio Sgarbi. Il pittore era Rocco Normanno, da Sgarbi considerato “l’ultimo dei caravaggeschi moderno”. Che è come dire che egli guarda e rappresenta la realtà di oggi come Caravaggio vedeva e rappresentava la realtà del suo tempo. La stessa realtà in abiti diversi.

Nato nel 1974, poteva essere quel bambino di trent’anni prima, che, per poco, non avevo messo sotto. Le immagini erano stupefacenti. Sembrava che il Merisi si fosse reincarnato in Normanno, Caravaggio in Taurisano, e si fosse espresso con volti nuovi, diversi, del luogo, quasi tutti famigliari. Sconvolgenti certe scene bibliche per la crudezza delle immagini e nello stesso tempo disarmanti per la normalità dei volti. In “Giuditta e Oloferne” sembra proprio che le due donne stiano svolgendo una pratica domestica, abituale, invece stanno scannando un uomo; una lo tiene per i polsi, l’altra con una mano gli tiene ferma la testa e con l’altra sta per tagliargli la gola. Raccapricciante. Anche nel “Davide e Golia” colpisce il contrasto tra la serenità dei volti dei protagonisti con l’enormità del gesto anche qui ripetuto del taglio della gola. Quello del contrasto tra il volto, quasi disteso e rassicurante, e il gesto enorme e brutale è una costante, con qualche eccezione, come in “Caino e Abele” e “Medea”, dove al gesto si accompagnano la violenza facciale e la drammaticità della scena. Altra costante è il mancinismo prevalente dei personaggi: il gesto risolutivo lo compiono quasi sempre con la sinistra.

Ovvio che le più celebri tele del Caravaggio sono ri-create da Normanno. Gli elementi specifici della re-invenzione sono essenzialmente riconducibili al realismo. Gli ambienti, i vestiti, gli oggetti, le armi appartengono al tempo presente, come del resto nelle opere del Caravaggio, dove, a parte il tema, tutto il resto si consuma nella realtà del tempo.

L’ho rivisto di recente a Taurisano nella manifestazione “Arte in Terra”. Ancora tre tele di carattere caravaggesco, con cui ha vinto il Premio dell’Edizione 2011. Mi ha fatto graditissimo omaggio di una sua elegante brochure che raccoglie i suoi “Dipinti dal 2003 al 2009” (Gipsoteca Libero Andreotti, Pescia, 2009).

E’ probabile che la scelta caravaggesca risponda a criteri estetici, che Normanno in Caravaggio abbia trovato la sua miniera di temi e di modi; e può essere solo una fase del suo percorso pittorico. Negli ultimi soggetti, infatti, appaiono temi e personaggi, forse non del tutto nuovi, ma di sicuro riconducibili alla ricerca. Il contrasto si riaffaccia ancora, ma è meno dissonante e trova equilibrio nell’analisi psicologica. Ne “Il Suicidio”, quadro con cui Normanno è presente nel “Padiglione Italia” della 54. Biennale di Venezia nell’ex Convento leccese dei Teatini, la “Biennale diffusa” di Sgarbi, la donna appare serena, eppure ha nella destra il pugnale di morte. Nella “Vecchia con la bambola” il contrasto diventa addirittura icona di una condizione, demenza senile in recupero di un’infanzia tradita.

Il Normanno, che mostra la sua più genuina appartenenza sotto le suggestioni forti, bibliche o mitologiche, è quello delle donne, riprese in una femminilità positiva “Madonna col bambino”. Ma anche quando sono delle peccatrici: “Maddalena penitente, “Salomè”, hanno una dignità che rivela consapevolezza del vissuto e compostezza interiore. Perfino nell’avvertito pericolo esistenziale, “Tossica”, la femmina è rispettata nel portato naturale della seduzione.

Produzione meno impegnata sotto il profilo culturale e più rispondente ad esigenze forse anche di committenza, sono “Ragazzo con casco e tulipani”, “Marte a riposo”, “Eva” (Fiona May,) e le tele d’ambientazione borghese: “Il Collezionista”, “Gli Antiquari”, “Nicolo e Giulio”, “Collezionista di ventagli” e le “Nature morte”.

Qua e là si affacciano richiami diversi, tentazioni, che accennano ad una sorta di ricerca di 'exit strategy' da una fase che potrebbe considerarsi conclusa. “Mercurio a riposo” propone motivi surrealisti che ricordano un certo Dalì, mentre in “Narciso” affiora, anche se contenuto, qualche motivo barocco, che nel Caravaggio è di stagione.

È sempre difficile e rischioso individuare le vie dell’arte, seguire il percorso artistico di qualcuno o addirittura prevederne gli esiti. Tanto più quando si ha a che fare con uno come Normanno, la cui tecnica è talmente raffinata e virtuosa che potrebbe egli percorrere la strada che volontà ed esigenza gli indicano volta per volta. Oltre tutto viene da una terra estrema, per oggettiva fisica collocazione, dove nella staticità di fondo si agitano contraddizioni enormi e da mattina a sera cambiano i venti e rendono inutili le previsioni; dove nella stanca da controra meridiana possono agitarsi violenze incredibili e contrasti estremi. Normanno è stato scelto, per un arcano dono di natura, ad avere in sé tutto della sua terra ed una straordinaria capacità di rappresentarlo.