Il cantiere dell'arte nuova Luigi Manni

Libri/ “La chiesa di Santo Stefano di Soleto” di Luigi Manni, Mario Congedo Editore

Il volume sarà presentato oggi, giovedì 7 ottobre, nella chiesa Maria SS Assunta, in Piazza Cattedrale a Soleto. Interverranno con l'autore il sindaco Elio Serra, i professori Giancarlo Vallone e Francesco G. Giannacchi

La chiesa di Santo Stefano (XIV-XV sec.) sorge nel centro di Soleto, capoluogo in epoca angioina della contea di Raimondo del Balzo di Courthezon, poi di Nicola Orsini e, fino al 1406, di Raimondello Orsini del Balzo. La contea era unitariamente circoscritta, con i corpi feudali di Soleto, Galatina, Sternatia e Zollino, in una vasta coinè grecanica alloglotta di tradizione bizantina, oggi ridotta ad un’enclave conosciuta come Grecìa salentina, situata a sud di Lecce, nel cuore del Salento. Santo Stefano, come tutte le opere d’arte, si configura in “un modo di vivere, un punto di vista, un tipo di rapporto con la vita sociale, una posizione di ordine culturale, politica, ideologica, religiosa”. Posizione egemonica, secondo Mario Cazzato, e, su un piano strettamente simbolico, la dimostrazione inconfutabile del ruolo raggiunto da Soleto nel Salento bizantino. Non solo, quindi, una storia di materiali, stili, artisti e referenti formativi – capitolo certamente rilevante della pittura tardogotica di Santo Stefano –, ma anche un approccio culturale più complessivo, già tentato da Sergio Ortese lungo le rotte culturali dei cantieri cosiddetti “minori”. La ricostruzione della dimensione spaziale, umana e temporale in cui si sono svolti i fatti e della “rete di relazioni microscopiche che ogni prodotto artistico, anche il più elementare, presuppone”, ha naturalmente tenuto conto dei fatti artistici e degli aspetti religiosi, cultuali e liturgici, connessi con le immagini degli affreschi e con gli elementi architettonici, recentemente affrontati da Michel Berger e Andrè Jacob. Al netto, tuttavia, di alcune improbabili ipotesi interpretative degli elementi plastici e dei brani pittorici. Lo stemma, da me individuato e attribuito con molta probabilità all’arcivescovo di Otranto, lo scismatico Guglielmo; l’altro degli Orsini del Balzo, scoperto da Luigi Galante e gli spogli documentali compulsati da Gino L. Di Mitri, aprono squarci inediti sulle vicende fondative e sulla cronologia di Santo Stefano; su Raimondello Orsini del Balzo, committente del piano d’opera e su Giorgio de Tullie, rettore della chiesa sino alla metà del Quattrocento. Lo scenario artistico della contea di Soleto venne profondamente influenzato dal grandioso cantiere tardogotico di Santa Caterina di Galatina, anch’esso allestito da Raimondello nel 1385. L’arte nuova, abbandonati i modi di stretta referenza bizantina, entrò anche nella chiesa di Santo Stefano, soprattutto nei primi decenni del Quattrocento. Qui i frescanti, pur rimutando “l’arte di dipingere di greco in latino”, si trovarono – questa è la contraddizione – a spalmare i freschi sulle pareti di una chiesa pensata e costruita con un impianto architettonico di derivazione bizantina e ad accompagnarli con iscrizioni esegetiche greche, in questa sede trascritte da Francesco G. Giannachi e ordinate in una guida dell’intero corpo epigrafico. Ma la vera sorpresa, al di là della nuova cifra stilistica e di alcune singolari iconografie, sta nell’esemplare messaggio cristiano racchiuso tra le pieghe del colore. Gli affreschi, letti in chiave iconologica, ai fedeli ellenofoni che entrarono in chiesa per pregare, offrirono una spettacolare e scenografica rappresentazione escatologica del loro destino. Una via per la salvezza, tra visioni teofaniche, vite leggendarie di santi, alati cherubini, Cristi-sapienza e Cristi-crocifissi, Madonne amabili e Madonne dolorose, miracoli, stragi, conversioni, inferni infuocati e beati paradisi. Una storia tutta da raccontare.