Quinta chiave in arneide









Arte/ Visioni, lì, dove regna l'Ulivo millenario...

Mina D'Elia

Ubique resonant sacrae cicadae...”. Un Serpente nero mi indica la strada, striscia repentino vicino ai miei piedi, poi s’allunga verso la cavità di un tronco maestoso che io comincio a guardare dal basso, dalle immense radici fossili, affiorate da più di duemila anni, probabilmente da prima del Crocefisso.

Capisco che lui abita lì, che fa la guardia ai suoi Giganti. L’istinto mi avrebbe portata alla fuga: mi vesto invece di una calma sovrana, lascio che il mio respiro scorra lento, immagino che il mio corpo diventi di un bianco irreale e, a passi lenti comincio una sorta di danza a spirale intorno all’albero che sembra aspettare dai tempi di Cesare…

La faccia enorme di una Vecchia, il cui collo si protende in avanti su una radura riarsa, mi si presenta a sorpresa: ha il collo appena reclinato in una mossa che mi sembra tenera e rassicurante. Le tocco la linea dei capelli che ricadono sull’orecchio sinistro, divisi da una decisa scriminatura.

Sarà lei la “Cantadora”, la guida saggia e amorevole, colei che ha la 'chiave' del teatro del Tempo…

Lentamente vado verso l’altra faccia del profilo e, pian piano, scorgo che l’altra metà ha i tratti di un Leone la cui bocca è serrata in un sorriso sdentato da almeno cinquecento anni…

Mi sento piccola e la mia mano sulla sua testa è grande appena una sua ruga.

Chiedo il permesso di entrare alla Vecchia e al Serpente, rintanatosi in qualche remota stanza all’interno del tronco.

Sento alle mie spalle un lamento flebile, come un pianto di Donna in lutto. Mi volto e un morbido corpo si rivela dal basso fino alla sua testa, china sul braccio e quasi nascosta nel petto da una manica che scende giù come un velo. Sarà una 'giovane' di mille anni fa che piange la guerra dell’amore… resto in ascolto del suo pianto sommesso per un tempo che non so dire. Qui il tempo è davvero un Enigma.

Più in là, un enorme groviglio di ossa incastra l’uno nell’altro femori e crani, toraci e mani, come in una Cripta di Cappuccini, ma lì sotto il sole meridiano in attesa di riunirsi ai corpi o alle anime.

Sento uno scalpitare di zoccoli che arriva remoto: pochi passi e sono ai piedi di due zampe di Cavallo, ridotte all’osso, ma ancora nell’atto del galoppo verso il mare…

Attraverso le zampe, un’altra radura. Dorsi di pietra rosata affiorano. Immagino sia lo scheletro della Terra cui le piogge hanno consumato le carni e reso lustre le ossa.

Un interminabile canto di cicale accompagna i passi.

Improvviso, dall’alto, un rettile maestoso e immobile guarda impassibile verso l’infinito.

Un po’ più in là il profilo di un enorme uccello, dal becco adunco e un occhio attraversato dalla luce, mi fa pensare al bestiario delle balaustre in Santa Croce, così come poco distante, la testa di un Telamone e poi, dappertutto Mascheroni di palazzi barocchi e un “Guardiano della soglia” appoggiato ad un’enorme stanza che porta in alto due aperture, quali bifore di cattedrale dietro cui la luce disegna leggiadri ramages d’ulivi.

Non riesco più a tornare indietro, sono nella macchina del tempo, sono nel Tempo assoluto, in questo grande Teatro dove tutto è immobile e muto, come per un arcano sortilegio.

Proprio come in un teatro incontro, infine, la Maschera: due enormi occhi scuri in una testa d’alieno e una vezzosa Rosa al centro della fronte. È buffa e terribile insieme, in un solo occhio potrei essere racchiusa tutta. Le sue gambe sono incrociate in un passo di danza, pietrificate. Lei guarda!

Impossibile sottrarsi alle due cavità dietro cui si cela il Mistero