Oh! Novecento

Nel libro “Modernità del Salento. Scrittori, critici e artisti del Novecento e oltre”, di Antonio Lucio Giannone edito da Congedo, una raccolta di interventi, articoli, brevi saggi, recensioni, di questi ultimi anni, che lo studioso ha riunito in volume, dividendo il lavoro in tre sezioni: 'Attraverso il Novecento', più vasta delle altre, contiene quattordici scritti sulla letteratura e la critica salentina; 'Tra letteratura e arte', contiene sette scritti che prendono in esame i complessi rapporti tra artisti e letterati salentini; 'Critica, narrativa, poesia', raccoglie dodici brevi recensioni, e può essere considerata come la parte in cui meglio si rivela la propensione dello studioso alla critica militante.


Gianluca Virgilio

Sono passati nove anni dall’inizio del nuovo secolo, e già possiamo affermare quanto i nostri antenati salentini di cento anni fa difficilmente avrebbero potuto dire in riferimento al secolo che li precedette, ovvero che la periodizzazione e storicizzazione del Novecento è cosa fatta. Voglio dire che noi disponiamo, grazie agli studi condotti da un cinquantennio in avanti nell’Università del Salento, di una ben precisa narrazione storiografica, suscettibile certamente di aggiunte e aggiustamenti, ma ormai ben delineata nella sua periodizzazione e nelle sue figure fondanti, che gli studi di contemporaneistica hanno messo in luce con non poche pubblicazioni specialistiche. Si legga, a questo proposito, l’ultimo libro di Antonio Lucio Giannone, Modernità del Salento. Scrittori, critici e artisti del Novecento e oltre, Congedo Editore, Galatina 2009, pp. 236, e si avrà la riprova di quanto ho appena detto.
Giannone, come molti sanno, è professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università del Salento. Chi meglio di lui potrebbe fornire ragguagli sul canone - si prenda il termine senza alcuna accezione prescrittiva - della letteratura novecentesca salentina?
Il libro di cui parlo è frutto di una raccolta di interventi, articoli, brevi saggi, recensioni, ecc., perlopiù di questi ultimi anni, che lo studioso ha riunito in volume, dividendola in tre parti: la prima, Attraverso il Novecento (pp. 13-143), più vasta delle altre, contiene quattordici scritti sulla letteratura e la critica salentina; la seconda, Tra letteratura e arte (pp. 145-184), contiene sette scritti nei quali Giannone prende in esame i complessi rapporti tra artisti e letterati salentini; la terza, Critica, narrativa, poesia (pp. 185-221), raccoglie dodici brevi recensioni, e può essere considerata come la parte in cui meglio si rivela la propensione dello studioso alla critica militante.
Quale Novecento letterario, artistico e critico, dunque, è quello che Giannone delinea per il Salento?
Il Capitano Black
Alle origini del Novecento letterario salentino figura Giuseppe De Dominicis (detto il Capitano Black). Giannone analizza l’ultima raccolta del poeta di Cavallino, “Spudhiculature”, ovvero “briciole”, del 1903, due anni prima della morte del poeta, rinvenendone il “motivo conduttore che accomuna le varie liriche… il tema della condizione umana” e “una concezione pessimistica e sconsolata dell’esistenza, che a lui sembra caratterizzata, oltre che da caducità e fragilità, da innumerevoli problemi di ogni tipo: fame, miseria, malattia, infermità fisiche e mentali, passioni rovinose come l’amore che può portare alla morte…” (p. 15). Il critico individua in particolare, in alcune delle ultime poesie, “un De Dominicis per certi aspetti sorprendente, con una sensibilità decisamente più moderna e aperto a una problematica e a suggestioni tipicamente novecentesche” (p. 18).
Il Futurismo
Ma è soprattutto col Futurismo che la modernità fa irruzione nel Salento. E qui si fa sentire lo studioso del Futurismo (si ricordi che Giannone ha scritto L’avventura futurista. Pugliesi all’avanguardia (1909-1943), Fasano, Schena, 2002): “…Lecce anzi, nonostante la posizione periferica e decentrata, può vantare una sorta di primato nella ricezione del movimento marinettiano rispetto a tutte le altre città del Sud e, per certi aspetti, anche rispetto a Napoli. Infatti, fin dal 1909, l’anno stesso di fondazione, questo movimento, oltre ad essere ben conosciuto e ampiamente discusso su numerosi periodici salentini, aveva già i primi adepti e simpatizzanti. Nel 1910, inoltre, a un giovane critico della provincia, Mimì Frassaniti, in contatto epistolare con Marinetti e altri futuristi, si deve il primo, organico tentativo in campo nazionale di delineare le caratteristiche del movimento in uno studio rimasto inedito. A Lecce, ancora, negli anni immediatamente seguenti, operava uno dei primi, misconosciuti seguaci della pittura futurista in tutta Italia, Antonio Serrano” (p. 27).
Dopo il Futurismo, Michele Saponaro, lo scrittore di San Cesario che tanto successo ebbe in vita e che, dopo un lungo periodo di oblio, oggi torna ad essere studiato. Scrive Giannone: “Ora però è giunto il momento, appunto, di “riscoprire” Saponaro. Tanto più che l’Università del Salento possiede da qualche anno il prezioso Archivio dello scrittore, donato dai figli Giovanni e Silvia attraverso la mediazione di Tondo (...), nonché tutti i suoi numerosissimi volumi, recentemente acquistati e conservati, insieme all’Archivio, presso la Biblioteca del Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura” (p. 46). Di Saponaro, Giannone studia lo scrittore di novelle e romanzi, ma anche il biografo (di Foscolo, Leopardi, Carducci, Mazzini), l’organizzatore culturale e il direttore di riviste, oltre che l’autore e il critico teatrale, ben consapevole che “siamo solo all’inizio di questo lavoro di riscoperta e valorizzazione che non deve interessare solo gli studiosi - scrive Giannone -, ma si deve estendere agli studenti, agli insegnanti, ai lettori salentini perché un autore come Saponaro sia conosciuto e apprezzato come merita in campo nazionale ma anche e soprattutto nella propria terra” (p. 53).
Bodini, Bene e la concezione del Barocco
E poi ecco due autori centrali del canone novecentesco salentino, Vittorio Bodini e Carmelo Bene (quest’ultimo, a mio avviso, un po’ negletto dagli studiosi locali), accomunati, secondo il critico leccese, da alcuni punti di convergenza: la concezione del barocco, l’interpretazione della figura di Giuseppe Desa da Copertino, i fatti di Otranto del 1480, che Giannone mette in luce al fine di “offrire un contributo al dibattito sulla identità salentina” (p. 55). Su tutti, mi piace riferire l’interpretazione bodiniana del barocco, così come è riassunta dal critico: “Come interpreta il barocco leccese Bodini? Non tanto e non solo come uno stile architettonico e artistico che ha dato a Lecce la sua inconfondibile fisionomia ma come una condizione dello spirito in cui si riflette il senso del vuoto, l’horror vacui, che i leccesi cercano di colmare con l’esteriorità, l’ostentazione, l’oltranza decorativa, tipica delle chiese e dei palazzi della città” (p. 56). Si consideri, a questo proposito, che Giannone ritiene misconosciuta a livello nazionale l’opera di Bodini “che continua ad essere sistematicamente ignorata dalle più importanti antologie della lirica italiana contemporanea (Sanguineti, Mengaldo, Cucchi-Giovanardi, Segre-Ossola)” (p. 191). Lo studioso richiama anche il giudizio di Bodini sulla rivista di Girolamo Comi, “L’Albero”, avente per lui “una chiara impronta ermetica e un carattere astrattamente universalistico” (p. 61). Ragion per cui Bodini fonda nel 1954 a Lecce la rivista “L’esperienza poetica” (cfr. le pp. 61-63).
Le riviste
Proprio alle riviste è dedicato il cuore pulsante della prima parte del libro. Giannone pensa che la storia delle riviste possa ben rappresentare il “panorama dell’attività letteraria nel Salento”, di cui egli fornisce una precisa periodizzazione. Il centro cronologico di questa periodizzazione è il 1970, anno della morte di Bodini, “che dagli anni Trenta agli anni Sessanta aveva caratterizzato la vita culturale leccese con la sua forte personalità e le sue iniziative. Inoltre, perché nel 1970 ha inizio la nuova serie dell’ “Albero”, che – scrive Giannone – deve essere considerata la più importante rivista letteraria salentina (e forse meridionale) del secolo appena trascorso.” (p. 83). Questa nuova serie de “L’Albero”, a cura di Oreste Macrì e Donato Valli, che va avanti fino al 1985, continua “la migliore tradizione letteraria salentina riallacciandosi ai periodici leccesi degli anni Quaranta, da “Vedetta mediterranea” a “Libera voce”, fino al “Critone” (p. 83). Accanto alla nuova serie de “L’Albero”, poi, negli anni Settanta “si formano gruppi e gruppetti d’avanguardia ed escono alcune riviste che si collocano nell’area della più avanzata sperimentazione” (p. 103). Il riferimento è a “Gramma” e a “Ghen” (pp. 103-108), e poi ancora al “Pensionante dei Saraceni” e “l’Incantiere” (p. 121), di cui lo studioso ricostruisce la genesi e i modelli, cita i fondatori e i redattori.
Vittorio Pagano
Girolamo Comi, Vittorio Bodini, Vittorio Pagano restano i nomi più citati (a Pagano è dedicato il paragrafo 6 della prima parte, pp. 65-72), a proposito dei quali lo studioso esprime il suo rammarico per la mancata o incompleta valorizzazione sul piano nazionale: “E se Comi e Bodini purtroppo, nonostante il loro indubbio valore, sono spesso assenti in dizionari, storie letterarie e antologie scolastiche, Pagano poi, in queste opere, non figura mai” (p. 65), scrive con rammarico Giannone; aggiungendo che, se Comi viene solitamente inserito nella cosiddetta “linea orfica”, insieme ad Arturo Onori, e Bodini in una linea sperimentale, tra ermetismo e neorealismo…, di questo scrittore [Pagano] risulta difficile stabilire esattamente la collocazione” (p. 66). Eppure è Pagano che, curando il supplemento letterario del “Critone” a partire dal giugno 1956, “prende il testimone proprio da Comi anche in questo tipo di iniziativa. Pagano ristabilisce il legame culturale tra Lecce e Firenze, nato ai tempi della “terza pagina” di “Vedetta Mediterranea”, redatta da Vittorio Bodini e Oreste Macrì, e dà al supplemento una chiara impronta postermetica…” (p. 120).
Paolo, Politi e Rizzo
Quel che è detto di Pagano a proposito del suo mancato riconoscimento sul piano nazionale, potrebbe essere ripetuto di molti altri scrittori, per esempio Salvatore Paolo (gli è dedicato il paragrafo 7 della prima parte): “Questo ovviamente, precisiamolo subito, non vuole essere un discorso di carattere campanilistico o provincialistico, non tende cioè a rivendicare le grandezze di glorie e gloriuzze locali, ma è invece un discorso di tipo metodologico, cioè un invito a studiare la letteratura di una regione periferica come il Salento in maniera critica, senza farne l’apologia, e mettendola sempre in rapporto con la cultura nazionale, secondo una prospettiva policentrica dello svolgimento della letteratura italiana” (p. 73). Insomma, il pericolo di scadere nel provincialismo c’è, e Giannone lo sa bene. Ma forse è necessario correre questo pericolo, e schivarlo grazie a un surplus di pensiero critico, se si vuole agganciare il treno della storia e non rimanere esclusi dalle correnti moderne della cultura italiana ed europea.
La prima parte del volume si chiude con due saggi: l’uno dedicato a Francesco Politi germanista e traduttore (pp. 123-131) e l’altro a Gli studi novecenteschi di Gino Rizzo (pp. 133-143). Di entrambi gli studiosi, Giannone segue il curriculum di studi, mettendo in luce scelte, predilezioni e metodo.
L'arte salentina e la letteratura
Nella seconda parte dell’opera, uno scritto sulla Scuola d’Arte di Lecce (pp. 147-152) è l’occasione per una periodizzazione dell’arte leccese dai primi del Novecento al secondo dopoguerra e oltre; il secondo dopoguerra, considerato come il periodo di “maggiore vivacità in campo culturale” (p. 154). Sono poi passate in rassegna alcune figure emblematiche dell’arte salentina novecentesca: Luigi Gabrieli, Mino Delle Site, Cosimo Sponziello, Sandro Greco, Pietro Liaci e Giovanni Valletta. Commentando l’opera pittorica di Luigi Gabrieli, Giannone così scandisce i tre diversi momenti dell’arte leccese novecentesca: “…Gabrieli, nato nel 1904, appartiene alla seconda generazione dei pittori salentini del ‘900, insieme a Temistocle De Vitis, Pippi Starace, Gaetano Giorgino, tutti del 1904 e Mario Palumbo (1905). La prima è stata quella di Geremia Re e Vincenzo Ciardo, i due maestri riconosciuti della pittura salentina del Novecento, nati entrambi nel 1894. La terza generazione, quella di Della Notte, Carlo Barbieri e Fernando Troso (1910), Roberto Manni (1912), Delle Site (1914), Suppressa e Sponziello (1915)” (p. 154). A proposito di Sponziello, Giannone richiama l’attenzione sugli “intensi sodalizi” che caratterizzarono i rapporti tra artisti e scrittori tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del Novecento: “Di quell’esaltante stagione [Sponziello] fu anzi uno dei protagonisti accanto a Nino Della Notte, Aldo Calò, Lino Paolo, Suppressa, Luigi Gabrieli e agli scrittori Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Luciano De Rosa, con i quali quegli artisti sono stati legati spesso da intensi sodalizi” (p. 171). Per venire poi agli ultimi tre decenni del secolo scorso, caratterizzati da “un vivace sperimentalismo”, nei quali la ricerca artistica salentina “continua a dimostrare una sorprendente vitalità, a ulteriore conferma – aggiunge Giannone – della singolare vocazione culturale di questa terra, che ha saputo recepire con prontezza e a volte con originalità i principali movimento artistici e letterari contemporanei, dal futurismo al novecentismo, dall’ermetismo al neorealismo, fino alla neoavanguardia” (p. 183).
Nella terza parte del volume, lo studioso leccese recensisce alcuni libri pubblicati da autori locali negli ultimi anni, sempre stando molto attento a cogliere l’aspetto caratterizzante l’opera e lo scrittore. Così, per fare solo qualche esempio, di Emilio Filieri è messa in luce “la concezione policentrica della storia della letteratura italiana” (p. 193), alla quale va il pieno consenso di Giannone, di Giuseppe Minonne “la vocazione pedagogica del narratore” (p. 197), dei racconti di Maddalena Castagneto Guidorizzi l’aspetto “lirico, evocativo, che lascia le situazioni nel vago, nell’indistinto…” (p. 199), ecc.
In conclusione, bene ha fatto Giannone a raccogliere in volume i disiecta membra della sua produzione sulla letteratura, l’arte e la critica salentina. Il libro, infatti, risulta utile al lettore non solo perché gli permette di entrare nel laboratorio degli studi di letteratura contemporanea dell’Ateneo leccese, ma anche perché gli suggerisce una ben precisa linea di svolgimento della letteratura e dell’arte salentina; di un Salento affacciatosi, forse un po’ tardi, alla modernità, che ora la critica letteraria e la ricostruzione storiografica rivendicano come fondamento identitario di un popolo.