Sabato 26 settembre, c'è la Festa dei lettori

Il sogno del labirinto
di Antonio Errico

Per tutta la vita sognò il labirinto, Jorge Luis Borges: la biblioteca che esiste ab aeterno ed è infinita, che contiene tutti i libri, la storia minuziosa dell’avvenire, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.

In una delle sue Finzioni, intitolata “ La biblioteca di Babele”, Borges racconta che quando si proclamò che la biblioteca comprendeva tutti i libri, gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Poi alla esuberanza seguì la depressione.

Perché alcuni pensarono che qualche scaffale contenesse libri preziosi e la loro inaccessibilità parve intollerabile; altri che la cosa più importante fosse sbarazzarsi delle opere inutili.

Ma per tutti la biblioteca era l’universo che conteneva ogni vanità e umiltà del mondo, ogni realtà e ogni fantasia, le memorie più profonde e gli irrimediabili oblii. La biblioteca comprendeva tutto il tempo e le spazio, tutti gli inganni, le premonizioni, l’illimitatezza, la finitudine, l’infinito.

Ci sono esistenze piene di libri fin dall’infanzia, che regolano il proprio rapporto con il mondo sul ritmo di una narrazione, che scoprono la realtà attraverso la finzione letteraria, e vivono tutte le esperienze possibili e le storie possibili attraverso le storie e le esperienze che accadono in una scrittura.

Ogni lettore vorrebbe poter dire come Jean Paul Sartre: “ho cominciato la mia vita come senza dubbio la finirò: tra i libri”.

Ogni lettore, in certi giorni, vorrebbe poter fare come Cosimo Piovasco di Rondò che ad un certo punto disse: questo piatto di lumache non lo voglio e non lo voglio. E se ne andò su un albero a vivere e a leggere, e a scambiare libri con quel brigante lettore vorace che era Gian dei Brughi.

Ma da anni e da più parti si proclama la fine del libro e della lettura.

In un saggio intitolato “ Leggere, leggersi”, Franco Ferrarotti pronuncia sentenze lucidamente controcorrente, conseguenze di lunghe, profonde riflessioni. Accende spie che poi spegne e riaccende richiamando con questa intermittenza l’attenzione di chi legge, suscitando interrogativi che riguardano il futuro della civiltà, dei destini individuali e collettivi.

Sono indicatori di grandi equivoci o di sottili e storiche mistificazioni, di forzature o semplificazioni ideologiche che attivano processi di stravolgimento delle strutture e dei sistemi culturali.

Una delle spie di Ferrarotti evidenzia che la confusione dei concetti di progresso e di sviluppo, di scienza e di tecnologia, ha prodotto oltre ad equivoci anche perversioni.

Implicitamente Ferrarotti avverte che si ha necessità urgente e disperata di una cultura, e quindi di un’educazione, che consenta un uso saggio degli strumenti che possediamo, che realizzi la formazione di una personalità e di un pensiero in grado di controllare lo tsunami tecnologico.

Il sociologo prende posizione precisa, inequivocabile. Sbeffeggia le mode. Frantuma il vitello d’oro della tecnologia di massa che da un po’ di tempo tutti ( o quasi tutti) adoriamo. Dice che sta crescendo irresistibilmente l’esercito degli analfabeti alfabetizzati, degli idiots savants aficionados di Internet.

Navighiamo ( o naufraghiamo?) in rete, ci lasciamo sedurre dalla fandonia del tempo reale senza renderci conto che psicologicamente il tempo è la cosa più irreale che ci sia, la più ingannevole.

La tecnologia – sostiene Ferrarotti- è una perfezione tecnica priva di scopo che lasciata a se stessa si risolve in una perfezione del nulla. Eppure noi, in un eccesso di dementia precox, le abbiamo venduto le nostre anime. Abbiamo pigramente creduto nell’ineluttabilità del suo potere; ci siamo acriticamente, indiscriminatamente, ipocritamente, opportunisticamente lasciati richiamare e irretire dalle sue sirene.

Così giorno dopo giorno abbiamo buttato via i libri.

In un passo della Tempesta di Shakespeare, Calibano parlando di Prospero dice: “ è sua abitudine dormire il pomeriggio. Allora lo puoi uccidere, dopo avergli preso i libri. Puoi sfondargli il cranio con un ceppo, o sventrarlo con un palo, o tagliargli la gola col coltello. Ma prima prendigli i libri. Senza i libri è uno sciocco come me”.

Resta una possibilità di salvezza. L’ultima, forse: la scuola. Perché è solo qui che si ha l’interesse di far crescere intelligenze ( che vuol dire esistenze) che sappiano sentire la responsabilità ( pesante) di custodire significati insostituibili, profondi, essenziali.