Stefano De Santis, Urkuma











Stefano De Santis, Urkuma


Musiche del Salento

Non mi piace chi cerca un'identità, non mi piace chi parla di identità;
ho molta paura di questa gente.
Appartengo alla geografia e alla tecnica più che alla storia”


Imminente caduta nel suono
di Ennio Ciotta

Abbiamo il piacere di scambiare due chiacchere con Stefano De Santis, in arte Urkuma, artista, produttore e sound designer salentino.
Urkuma e' un antico termine dialettale salentino, che sta ad indicare uno stato di non-equilibrio, una imminente caduta, uno scompenso psico-fisico: in poche parole, è sinonimo di instabilità.
Stefano De Santis, inizia la sua carriera imbastendo delle ideali colonne sonore per i testi teatrali di che lui stesso scrive; il nome del suo sito ''Sanfocahotel'' rimanda ad un immaginario hotel sulle coste dell'adriatico salentino dove hanno sbarcato profughi albanesi, curdi, cossovari, cinesi... e' un posto iper-reale, televisivo, una specie di non-luogo che ospita in se tutti i luoghi comuni meridionalistici e nel contempo li dissolve.

- Parlaci un pò di te, un excursus del tuo percorso artistico
Ho iniziato con il teatro, facendo di tutto: attrezzista, attore-tappabuchi, fonico, scrittore di testi teatrali, sceglievo le musiche, montavo le scene, organizzavo concerti e letture di poesie. Poi mi son stancato di osservare e mettere gli altri in scena e mi sono mostrato io. Non per puro egocentrismo, ma per mancanza di gratitudine. Ecco perchè sono sbarcato al 'puro suono', mi permette di scrivere senza dover dare conto a registi, attori o Wittgenstein.

- Negli anni hai tessuto collaborazioni con molte etichette straniere, inoltre hai avuto modo di esibirti molte volte all'estero. come nascono questi contatti?
Me ne son andato all'estero rimanendo sempre a casa mia. Parlo inglese e all'estero pure lo parlano, i miei suoni piacciono e m'hanno invitato diverse volte a suonare o a produrre i miei dischi. Ho preparato il mio 'Trolley di Cartone' ogni volta, e ogni volta son tornato a casa. Abbastanza semplice: mi pagano il viaggio di andata e ritorno. La possibilità di usare internet mi ha aiutato nei primi scambi, ma se devo pensare a come ho consolidato i miei contatti, confesso che un rapporto di stima e collaborazione si alimenta con l'incontro e con il viaggio.

- Un'etichetta francese ha prodotto un tuo disco basato sul mosaico della Cattedrale di Otranto, parlaci un pò di questo progetto.
"Rebuilding Pantaleone's Tree" è l'ultimo album completo che mi è stato prodotto da una piccola e gloriosa etichetta parigina (baskaru.com). Dentro l'Albero ci sono tutti i materiali di cui è fatto il mosaico e Otranto: la terra rossa di bauxite, la luce bianca allucinata e allucinante riflessa dalle case, il vento dello stretto, l'imperizia assordante dell'asino arpista, la multiculturalità del monaco Pantaleone, l'acqua che scorre sotto terra, le infinite voci che si sono incrociate nel porto, la violenza pura. Ecco di cos'è fatto l'Albero: suoni come materia, materia da plasmare.

- Che legame hai col territorio? quanto ti senti "salentino" in quello che fai?
Io vivo a Tuglie, ho sempre vissuto quaggiù. I miei concittadini mi sopportano e io li amo. La terra mi sta attaccata addosso quando torno da campagna per la raccolta delle olive, ed è difficile scrollarsela da dosso. Salentino lo sono anch'io, come dicevo son nato e vissuto qui, sono in-qui-nato; ma se si parla di identità e panzane di questo tipo, riesco ad interessarmene meno di zero.
Non mi piace chi cerca un'identità, non mi piace chi parla di identità; ho molta paura di questa gente. Appartengo alla geografia e alla tecnica più che alla storia. Come si innesta un albero, la traduzione del Don Chisciotte di Bodini, l'uso millenario delle pietre nell'architettura delle nostre case, l'incapacità di rendersi liberi, il volto orrendo di Antonio Verri, la papaverina, CB, mio nonno morto a mille metri sottoterra e a più di mille chilometri di distanza da casa sua... a questo appartengo. Ma appartengo anche ai MilkBar di Varsavia, alla metropolitana milanese, alle donne di Topolò, alla cattedrale gotica di Peterborough nel Cambridgeshire, alla stonata ospitalità del Reitschule a Berna, ai soldi falsi con cui son stato pagato a Savona, all'AmmanStudio di Vienna... e a molta altra terra appartengo.

- Esiste una scena da queste parti?
Certo che esiste, una scena fatta da tante piccole isole-individui che saltuariamente si incontrano e collaborano: Pierpaolo Leo, Andrea"Popoulous" Mangia, l'alito libero ma distratto di Piero e Mauro al Fondo, il selvaggio del borneo Tiziano Serra, i Sotterranei copertinesi Santo compreso, Antonio De Luca, le visioni di CarloMicheleSchirinzi, il tratto di Giovanni Matteo, Mino De Santis... un universo piccolopiccolo racchiuso in un'isola che isola non è. Sono grato a queste espressioni salentine, mi hanno nutrito e sono rimaste fieramente fuori dalla scena entomologica. Ho detto una bugia, perchè una scena non esiste. Altrimenti l'avrebbero già commercializzata.

- Suggeriscici un disco, un libro, un film ed una ricetta.
Il disco è "Matteo Salvatore - chants de mendiants en Italie" un pugliese-foggiano che non sapeva neanche cosa volesse dire folk fino a quando non ha incontrato Pasolini e Calvino, ma che sfornava una musica di una modernità bruciante: puro minimalismo sonico e narrativo.
La ricetta è "Carciofi in bianco": tolto gambo e foglie più coriacee, si inzuppa il carciofo in acqua e limone per poi pressarlo amorevolmente facendolo aprire come un fiore. Si prepara a parte una una mistura di parmiggiano grattugiato, poco pangrattato, prezzemolo tritato e pepe: si cosparge la testa. Sistemati i carciofi con la testa al cielo e ben affiancati in una padella, li si benedice con poco olio e un bicchiere di brodo. Cuocere per 15\20 minuti fino a quando saranno ammorbiditi. Verso la fine della cottura si toglie il coperchio e a fuoco lento si continua fino a far addensare il sughetto.
Il libro è "Viaggio al termine della notte" di Celine; perchè il medico francese è brutto, sporco e cattivo come gran parte dei pensieri che solcano ogni giorno le menti delle umane genti.
Il film è "Nostra Signora dei Turchi", perchè rende perfettamente merito al deserto che è il Salento.