L'arte nascosta

Abbiamo visto un film molto bello!
Il passo è quello che indaga, guarda nelle pieghe e scopre che la creatività, l’arte è un fatto di necessità. E’ il cervello che ti comanda ti sussurra che una pietra non è solo una pietra, che un barattolo di vernice ha dentro di se un tempo in divenire che sta in attesa di mani, di pennelli, di una superficie. Che le parole non bisogna farle stare mute…
Abbiamo visto un film molto bello. Lavorato sapientemente e sapientemente guidato.
Un film che ci ha fatto incontrare quatto vite. Alfredo De Riseppe il mentore, la guida. Personalità di molte risorse. Anche politiche. Nell’ultima corsa amministrativa, a Tricase, concorreva allo scranno di Sindaco. Ha perso! Meno male, ci viene da dire., perché il film lo ha girato per tirarsi fuori dal mal’umore. Ha fatto buona cosa, per lui, per noi e per Tricase.
L’aristocratica della regione delle serre ha molte cose nelle pieghe della sua storia, del suo quotidiano. Doni inimmaginabili che l’uomo di Tutino, prova a raccontare. Lui le persone le ama, i luoghi, le cose dell’urbanità, della campagna, de mare, il paesaggio lo contiene intero negli occhi.
(M.M.)


Voglio dirvi qualcosa su questo “L’Arte Nascosta”
di Serena Laporta

Conosco Alfredo da anni e attendo, attendo sempre le sue sorprese. Aspetto i suoi scritti, le sue poesie, le sue prese di posizione, i suoi coupe de theatre. Lo spettacolo è sempre garantito. Perché l’uomo è sorprendente, sempre, nel bene e nel male (poco invero).
Quindi aspettavo il film.
Ho annusato l’aria nei giorni precedenti, è trapelato poco; il riserbo, almeno nel mio caso, sovrastava. Questo regista in erba, come da suo stile, banalizzava, minimizzava “è una specie di documentario” diceva.
Insomma, spinta da una passione smisurata per il cinema, son partita da Lecce e sono andata a Tricase alla prima di sabato 13 settembre e, in uno scenario incredibile - chi c’era sa di cosa parlo: gente in ogni dove, seduta, in piedi, accucciata dentro nicchie seicentesche, caldo asfissiante dentro e fuori, (il film si proiettava nel palazzo comunale, contemporaneamente in sala e in un cortile ) posti in piedi anche per chi è arrivato in tempo – ho visto, l’ho visto: un Film in quattro episodi.
Un film vero. Divertente, emozionante, struggente.
Una lente di ingrandimento su vite spesso dolenti, su persone, uomini e donne forse consapevoli del privilegio della loro “arte”, e perciò più sole.
- Non ci siamo forse un po’ riconosciuti tutti nella rabbia del Musico Vivaista (Salvatore Brigante n.d.r)? Certo abbiamo anche avuto il tempo per divertirci, per sorridere sulle inquadrature ciniche mentre dorme col cuscino tra le gambe e con la panza che trabocca.
- Non abbiamo un po’ invidiato l’atmosfera bucolica in cui è immerso l’Intonacatore? Non ci siamo incantati dinanzi alla nostra terra così bella? E non vorremmo tutti avere l’abilità di costruire le sue casette, i suoi presepi? Non giocavamo tutti da piccoli a fare capanne sugli alberi, o in giardino, non costruivamo castelli con il Lego? E poi la luce, la luce di questa parte di mondo, il nostro piccolo mondo.
- E che dire dell’episodio di Puccetto (Rocco Antonio D’Aversa)? Indimenticabile la scena all’alba, di lui in bicicletta che va al casello in un’atmosfera tutta dorata. Poi la sua solitudine. Sempre la solitudine, quando dipinge, quando alza il passaggio a livello, quando abbassa il passaggio al livello, quando si lava, lava via la pittura sotto una doccia, vestito. La sua caccia: qualcuno a cui chiedere un passaggio verso un bar, un luogo in cui incontrare suoi simili e bere un caffé. Mi ha ricordato un vecchio, anzi vecchissimo, film di Olmi “Il tempo si è fermato” in cui uno studente diventa per caso amico di un guardiano di una diga che passa tutto il tempo così, come Puccetto. Fra la natura e il rischio di alienazione.
- Infine una Donna, anch’essa dolente, molto. Lavora nella Sanità e vive con una madre arrivata direttamente da un set di Fellini. Ma lei, la Donna, è coinvolta, presa, dalla suprema forma d’arte che è il teatro, che in sé racchiude, per antonomasia, la tragedia. E ha tutto di tragico il brano tratto da Antologia di Spoon River che ci recita. A questo punto sono stupefatta.
E poi, elogio della lingua della terra di Tricase; vi ricordate le lotte di Pasolini per far riconoscere il friulano come lingua ufficiale? E l’Albero degli Zoccoli di Olmi? (penso però che i sottotitoli saranno necessari per la veicolazione del film). Un piccolo gioiello che parla del nostro Salento molto più dei vari film, che sbandano fra mafia e agiografia. Verità ed emozioni, come deve essere il cinema.
Insomma mi è piaciuto tanto questo film, questa che è un’”opera prima” nel senso che ora attendo la seconda, poi la terza e via di seguito…Il regista è un artista per niente nascosto e lo invito a continuare a sorprendermi.