L'anti-favola del Sud. Su le spose di Mario Desiati



di Irene Leo

Il paese delle spose infelici è un anti-favola. Ovvero è un paese delle meraviglie al contrario, e non c'è un Alice perbene dalla veste pulita tra le righe, bensì un Annalisa torbida nei suoi pensieri e nelle sue azioni, bionda, effimera, impalpabile e poi concreta e terrena. Bella e maledetta a tal punto d'esserlo oltre le metafore con i suoi "affascini", che si fanno iperbole nelle vite di due uomini, Zazà e Velenus, protagonisti di una storia di cui il secondo è coscienza narrante. C'è un'aria paesana sullo sfondo che si alimenta da sé man mano che i personaggi avanzano in una realtà talmente vera da toccare i vertici del surrealistico e del paradossale. Martina Franca, Taranto, l'hinterland di Noci, la Madonna della Scala, Barsento, la colonia degli Hanseniani presso Gioia del Colle, si tingono di una dimensione scura più del nero, che intrappola e magnetizza, come tutto ciò che è male ed è proibito. Temi differenti vengono affrontati tra le pagine di Desiati che oscillano dalla questione sociale, a quella lavorativa, ad una strettamente intima della psiche umana, qui come anche nel precedente romanzo Vita precaria Amore eterno dello stesso autore, i fallimenti le battaglie perdute, le pazzie, sono figlie di un oblio che è diktat di tutto il discorso filologico, e che si pone come alternativo sopravvivere. Non si sfugge alla sorte, scritta ed incisa a caldo sulla pelle del Sud, quasi a volerlo caratterizzare ulteriormente dandogli connotazioni prive di speranza, accentuando la drammatica messa a fuoco dell'evocazioni mancanti di grigi, con tutta la violenza invece del bianco e nero estremo. Il fato nel gioco degli eventi attrae con una forza distruttrice ogni vita, ogni aspettativa come quella vana ed eterea dell' Esperia, la squadra di calcio in cui Zazà e Velenus due mondi paralleli, si incontrano e scintillano, mescolano i loro sogni le loro parole ed il sangue alle ginocchia sbucciate sul brecciolino secco, crescendo. Il paese delle spose infelici, tra le pagine tende a perdere la sua connotazione geografica ed assume una dimensione autonoma di disagio globale, un'infelicità senza tempo e spazio, l'esigenza di sfuggire al proprio destino porta alla morte coraggiosa le giovani spose, quale ultima possibilità di cambiamento. Sovviene alla mente l'eco sfumato e reinterpretato del mito dell'ostrica di verghiana memoria, in chiave moderna e "particolaristica": inutile ribellarsi alla corsa degli avvenimenti e al proprio status sociale, specie se il male è infimo.
Ma è Annalisa la chiave del mistero, Annalisa è alfa ed omega del romanzo. Zazà e Velenus eterni rivali d'amore per la stessa donna, il primo amato e mai scordato, il secondo non corrisposto in virtù del primo, che conosce in maniera coloristica il mestiere di vivere, avendolo imparato in fretta dal turbinio degli errori. Annalisa moderna untrice, moglie "liberamente" fedele al suo ruolo, liberamente "strega", liberamente "donna". Sono forti i richiami alle storie locali trasmesse nel tempo e rintracciabili nel tessuto fisico ed antropologico del territorio che Desiati conosce e celebra, con questo quadro dai colori acidi e scordanti e privi di una grazia che affonda nei passi di un contesto sociologico di valori sconnessi, e ribaltati. I personaggi sognano una libertà che li incatenerà, che li renderà orfani della propria morale. Ma poi in conclusione tutto resta sospeso, se è vero che le colpe e le dissoluzioni di Velenus e Zazà trovano un corrispondente punibile per legge, è anche vero che il bilanciere dei sentimenti e delle emozioni non è soggetto a nessun metro di giudizio. Eppure la poesia si fa largo tra queste pagine, poesia sdentata, poesia evocata (letteralmente quella di Rocco Scotellaro ad esempio più volte) poesia cruda e piena di rovi, poesia senza mezze misure, come specchio insofferente di vite malvissute, ma intensamente vissute. Ma per mutuare le parole di un giovane poeta della Brianza, (Fabio Paolo Costanza): Se"...il peggio è la poesia, / salvatela.

(Finitolo di leggere, mi accingo a posare la copia del mio libro desiatiano guardacaso accanto ad un vecchia edizione dell'Alice del paese delle meraviglie di Lewis Carroll di cui sopra, regalatomi da bambina. Ed un pensiero mi sovviene prima del black out del sonno: l'immaginario ed il vissuto non sono poi così distanti...)