LA TENDA

da Big paper: il blog di Marco Archetti / Feltrinelli

di Margherita Macrì.
6 agosto 2008

Il fatto è che non poteva continuare a fare finta di niente. Era troppo tempo che andava avanti così. Dalla mattina fino alla sera. Alcune volte gli era capitato di vederla anche di notte. Si accorgeva di lei da quell’onda lieve che la tenda faceva dietro il vetro.

Paola aveva perso il marito in un incidente pochi anni prima. Ed era stato proprio al funerale la prima e l’ultima volta in cui le aveva rivolto la parola. I funerali lui aveva sempre cercato di evitarli, ma quella volta gli era sembrato necessario: un suo famoso collega aveva perso la vita in un incidente e lasciava una moglie giovane e avvenente proprio dirimpetto casa sua. Come lasciarsi scappare l’occasione di far la coda di pavone e presentarsi a tutti?
In realtà la sua presenza fu notata appena, tutti erano presi dal venerare qualcun altro e lui era poco più di un fiammifero di carota in un’insalata mista. Allora prese contatto diretto con la vedova, sembrava urgente legittimare la sua presenza lì. La fissò a lungo da lontano fino a quando gli occhi di lei non lo incontrarono, e a quel punto storse la bocca in un in un supremo sorriso triste come a dire: signora, sono terribilmente desolato e commosso per l’accaduto, la commisero sinceramente e anzi, condoglianze, avvocato Marini, qui per renderle omaggio.
Appena gli sembrò che la signora avesse letto per intero la sua smorfia, si avviò, le strinse la mano, s’inventò qualche misurato convenevole e disse che conosceva il marito perché si erano incontrati più volte in tribunale, si stimavano a vicenda, il defunto più volte aveva insistito perché collaborasse con lui.
La signora si sorprese, si era quasi dimenticata che quella sfilata di uomini impettiti avesse a che fare con suo marito, il suo defunto marito. Lo ringraziò con l’estuario di una lacrima e lo invitò a tornare a trovarla quando tutto il trambusto si sarebbe placato: avrebbe avuto molto piacere ad approfondire la conoscenza di un amico del marito di cui ignorava l’esistenza.


Ora lei era là, dietro la tenda.
In quella casa non ci era più entrato, ma aveva continuato a pensarci. Lei rimaneva dietro l’impalpabile drappeggio per ore e lui la indovinava attraverso uno spiraglio della stoffa, un ciuffo di capelli, lo spigolo di un gomito, e gli sembrava che guardasse sempre verso la sua portafinestra. Inizialmente lo aveva interpretato come un gioco di seduzione e aveva preso a lasciar completamente scostata la sua, di tenda.
Quando decideva di farsi guardare, niente era lasciato al caso: belle camicie di seta, camminate avanti e indietro, coreografia di fumo di sigaretta.
Lei invece continuava a non farsi vedere. L’unico gesto era qualche discontinuo cambio di piante dal balcone a inizio settimana, gesto che lui interpretava come un omaggio floreale alla sua persona.
Allora continuò. Era diventato quello l’impiego più importante della giornata. Ci pensava appena sveglio e continuava a meditarci su al lavoro, al volante, al bar. Aveva disdetto impegni e cene galanti per avere sempre più tempo da dedicare a quegli occhi.
Un giorno decise di fare il grande passo, spalancò la portafinestra e si mise a cenare lì, davanti a a tutti – davanti a lei.
La tendina dirimpetto era sempre al suo posto, a velare una presenza che si poteva solo intuire.
La settimana era iniziata con un vaso di ciclamini bianchi, e più volte il suo braccio si era sporto ad annaffiarli. “Ora anche lei comincerà a sporgersi,” aveva pensato lui.


Ma in realtà non successe niente di niente.
Un giorno lui uscì a comprare un vaso e lo apparecchiò con cura sul davanzale per attirare lo sguardo di lei. Poi si sedette e attese un segno.
Passarono quattro ore e dieci sigarette.
Da quella volta nessun braccio più si sporse ad annaffiare i ciclamini, che s’afflosciarono in pochi giorni. Nessun altro vaso di fiori prese il loro posto.
Lui non si perse d’animo e radicalizzò ulteriormente il mesaggio. Cominciò a ricevere persone davanti alla portafinestra, dapprima uomini, colleghi o conoscenti dall’aspetto distinto con cui parlava di lavoro, poi donne, per lo più alte e con vistose. Con un paio di loro fece pure l’amore, sempre con la tenda scostata, impegnandosi in evoluzioni equestri.
Ma dei ciclamini restavano il vaso, e una groviglio di foglie morte.


Una notte lui si alzò credendo di dover andare in bagno, invece l’unico motivo era spiare la finestra di lei. Era aperta. Filtrava una luce che sembrava disegnare un volto. Il suo volto?
Si era tagliata i capelli cortissimi. Sembrava smagrita e pallida, e continuava a fissarlo. Pensò che sembrava proprio una donna a cui era morto il marito e che non aveva più forza per continuare a vivere. Fu assalito da un brivido forte dietro la nuca, come se finalmente stesse diventando cosciente. Richiuse la tenda in colpo solo. Si distese sul letto e gli venne in mente che forse aveva giocato a sproposito fino a quel momento, che quella donna aveva bisogno di aiuto e che gli sembrava sull’orlo del suicidio.
Per il resto della notte non chiuse occhio. Decise che l’indomani avrebbe preso un vaso dal balcone, le avrebbe suonato il campanello e gliel’avrebbe donato chiedendole solo il tempo di un caffè.
Anche lei aveva richiuso la tenda contemporaneamente a lui. Andò in camera da letto, nel cassetto del marito c’era una vecchia pistola. La lucidò per bene, con molta attenzione, la caricò e tolse la sicurezza.
Si sedette davanti alla porta d’ingresso e aspettò l’indomani.