"Sapientissimo galantuomo"





















Edoardo Winspeare sapientissimo, galantuomo e regista.

di Mauro Marino

Specchia è luogo del cinema, borgo fra i più belli d'Italia, nell’estremo sud del Salento, a pochi chilometri dal Finibus Terrae di Leuca. Luogo in cui potersi confrontare con se stessi e con l'immaginazione, in cui è possibile “respirare il senso del tempo” e sentire “l'odore della vita e delle sue stagioni”. Il nome del paese viene dal cumulo di pietre a secco disposte in forma conica, chiamato “specchia”, che gli antichi Messapi utilizzavano come opera di difesa: postazioni di vedetta situate in una posizione strategica a dominio della pianura sottostante.

Il centro storico del paese mantiene un integrità sorprendente tutto intorno al castello Risolo. Qui ha trovato sede per fare archivio e produzione il Consiglio Internazionale del Cinema, della Televisione e della Comunicazione dell’UNESCO e qui in luglio s’è tenuta la quarta edizione della festa di Cinema del Reale, rassegna di film documentario diretta da Paolo Pisanelli.

Il convento dei Francescani Neri ha una data certa, il 1531, anno in cui si documenta, tra le sue mura, il Capitolo generale di quell’ordine religioso. Oggi è sede operativa del fidato staff (Leo Angelini, Sabrina Balestra, Biagino Bleve, Gustavo Caputo, Marilena D’Aversa) che con Edoardo Winspeare, prepara il lavoro per la realizzazione de “I galantuomini” film scritto dal regista salentino con Andrea Piva e Alessandro Valenti. In particolare si cura il casting locale. Nodo essenziale nel lavoro di Winspeare. Capace allenatore di talenti, Edoardo, ha costruito la sua regia sulla stretta coniugazione dei caratteri umani degli ‘attori’ da lui scelti con i valori originari ed ancestrali della terra. Il disincanto e la paura della pizzicata Chiara Torelli, il ridere e la pena del cantore–contrabandiere Pino Zimba, la rabbia e lo sgomento del ribelle Lamberto Probo, il miracolo interpretativo e il virtuosismo dei giovanissimi Claudio D'Agostino e Stefania Casciaro sono ‘invenzioni’ di una sapienza educativa dell’attore propria di una scuola che re-inventa il ‘realismo’ alla luce di un necessità narrativa, di un urgenza che vuole dire da Sud ‘questo’ Sud.

I galantuomini è lo stesso titolo di una delle novelle rusticane di Verga. Ma qui il clima è diverso da quello descritto nell’epica verista, si racconta “la perdita dell'innocenza della Puglia e, più in particolare, del Salento anni '70, scosso dall'avvento della Sacra Corona Unita”.“Il nostro film è ambientato negli anni '90 – ci dice Winspeare - perché volevamo raccontare un episodio che comincia e finisce, come la Sacra Corona Unita, che oggi non ha più come in passato un'organizzazione piramidale, decapitata dall’impegno di investigatori e magistrati”.

I protagonisti del film, una storia d'amore tra un giudice una donna criminale, saranno Fabrizio Gifuni e Donatella Finocchiaro. “Persone di estrazione sociale diversa. Lui, Ignazio, appartiene all'alta borghesia, alla società dei ‘galantuomini’, mentre lei, Ada, è una figlia di contadini che diventa un capo malavitoso. Il tema è la legge: la legge scritta e quella morale. Il film pone l'interrogativo se sia lecito amare qualcuno che ha scelto di stare dalla parte del male”.

Edoardo Winspeare è uno degli artefici di quel grande movimento culturale che ha dato al Salento visibilità e notorietà. Il suo cinema, con Pizzicata (1996), Sangue vivo (2000) e Il miracolo (2003), è stato fondativo di una visione che ha costruito e scritto il Salento contemporaneo. Una particolarità stilistica e poetica interprete del canovaccio ideale del pensiero meridiano: “un Sud soggetto di pratiche e di pensiero, non più periferia dell’Impero, ma centro di un identità ricca e molteplice, autenticamente mediterranea”.

Scrive il regista di Depressa in un suo saggio sul Salento: “Negli ultimi anni, abbiamo giocato e giocando abbiamo visto la nostra terra cambiare sotto i nostri occhi. Il Salento che ho raccontato nei miei film già non esiste più. Questa penisola ha la forma di una nave con la prua a levante che da secoli traghetta fra le due sponde del mare: è la metafora di un passaggio, come sempre nella storia. Il custode spirituale del mosaico di Otranto, Don Grazio Gianfreda, mi raccontava del suo “miraggio battriano” di unire Ovest e Est nella città-martire dove sorgeva l'abbazia di Casole dove “monaci sapientissimi” diffondevano prima del 1480 il pensiero e la letteratura greca. Per l'ultimo archimandrita Otranto è il centro del mondo, per il poeta Bodini Leuca è la fine della Terra “dove i salentini dopo morti fanno ritorno con il cappello in testa”, per Carmelo Bene, invece, “tutta la Terra d'Otranto è fuori di sé. Se ne è andata chissà dove. È una terra nomade, gira su stessa. A vuoto”.

“Il cinema è vicinanza col sentimento della terra. E’ il ‘sentire’ che mi conduce alla conoscenza vera di un luogo. Molti posti si capiscono ma pochi si sentono. Con lo sguardo mi avvicino all'essenza profonda della nostra terra rischiarandone la vita, contraddittoria e bella, odiata e amata, suggerendo all'animo scatti, fotografie, movimenti d’immagini che scaturiscono dall'inconscio. Per questo tipo di esperienza non c’è bisogno di articolate esposizioni e conclusioni intelligenti, piuttosto sono benedetti e santi gli imprevisti del buon senso, i balbettii della ragione e soprattutto una serena attesa dell'emozione”.

Già, l'emozione! Perseguita ‘sul campo’, ha fornito ad Edoardo le chiavi di accesso alla complessità di quel formidabile immaginario che da senso e costrutto al Salento.

La dolcissima cantilena della lingua, il continuum straniante del paesaggio, la festa con le sue regole e le sue esatte alchimie tra sacro e profano, il sibilare della musica, la donna salentino, “la più bella del mondo”, che nella pizzica mette in scena l'essenza della femminilità mediterranea. Una miscela fatta di passionalità e di decoro, che detta le regole d’un vivere oggi sul bilico della perdita.

“Questa rinascita culturale in particolare per la musica ha molto contribuito a rendere il Salento popolare fra i giovani, diventando anche meta ambita da una raffinata élite internazionale in cerca dell'ultimo luogo autentico. Come abitante di questa piccola penisola ne sono orgoglioso e allo stesso tempo anche preoccupato perché la moda della “salentitudine” o “salentinismo” passerà e noi saremo diventati come qualsiasi altro posto in nessun posto, un “dappertutto commerciale” qualsiasi, conformista e senza vera bellezza.